Gli autori propongono l'abolizione del carcere. Bene, nulla di preconcetto in contrario.
Il libro, inoltre, è divulgativo: e di ciò tengo conto in questa recensione, essendomi occupato in passato in maniera, per così dire, professionale della sanzione penale.
Ebbene, ciononostante, questa sorta di pamphlet lascia molto a desiderare, soprattutto perché non si pone mai nella prospettiva che sarebbe stato più ragionevole adottare, ossia come un'opera volta a decostruire l'istituto "carcere" in quanto tale e le sue giusitificazioni, morali e giuridiche. Al contrario, gli autori si incentrano su questioni del tutto contingenti, come il sovraffollamento delle carceri italiane o alcuni maltrattamenti avvenuti in un caso specifico. Ma queste sono argomentazioni, è persino palese, del tutto inconsistenti. Piuttosto, si sarebbe dovuto affrontare il tema da un punto di vista, innanzitutto, filosofico. Criticare il carcere in quanto tale, non le sue eventuali deformazioni. Le uniche righe del libro in cui chi scrive sembra essere cosciente di questa profonda differenza sono quelle della postfazione, tant'è che viene da chiedersi come mai Gustavo Zagrebelsky abbia acconsentito a partecipare ad un lavoro così scadente.
A lasciare perplessi c'è poi anche il fatto che gli autori tralasciano completamente di affrontare la tematica della prevenzione generale, occupandosi esclusivamente di quella speciale (ridicole, in questo senso, alcune asserzioni contenute nel paragrafo che tratta dell'indulto).
In conclusione, si tratta di un libretto divulgativo di scarso valore. Il che rende ancora più risibile la presunzione (malcelata) degli autori di essere i Beccaria del Duemila. Dio ce ne scampi.