I volume (pag. 619) Parte prima - L'industria carceraria Parte seconda - Moto perpetuo
II volume (pag. 688) Parte terza - Lavoro di sterminio Parte quarta - L'anima e il reticolato
III volume (pag. 640) Parte quinta - La galera Parte sesta - Il confino Parte settima - Stalin non è più
«Gulag» è la sigla dell'organismo statale che gestiva il sistema dei campi d'internamento nell'Unione Sovietica: prigioni di transito, carceri, «isolatori» politici, campì di lavoro forzato, luoghi di confino e di esilio interno. Dal Circolo polare artico alle steppe del Caspio, dalla Moldavia all'Estremo Oriente, dalle grandi città industriali alle miniere d'oro di Kolyma in Siberia, le «isole» del GULag formavano un invisibile arcipelago, popolato da milioni di cittadini sovietici. Nei GULag è vissuta o ha trovato fine o si è formata un'«altra» Russia, quella di cui non parlavano le versioni ufficiali, e di cui Solzenicyn, per primo, ha cominciato a scrivere la storia. In un fitto intreccio di esperienze dirette, di apporti memorialistici, di minuziose ricostruzioni dove non un solo nome o luogo o episodio è fittizio, i tre volumi di «Arcipelago GULag» racchiudono una tragica cronaca di quella che è stata la vita del popolo sovietico «del sottosuolo» dal 1918 al 1956. La classificazione dei prigionieri per categorie e i rapporti fra detenuti politici e detenuti comuni, i problemi della presenza delle donne e degli adolescenti nei campi, i sistemi di sorveglianza, l'arruolamento dei delatori, l'assegnazione delle punizioni e degli «incentivi»: sono alcune delle numerosissime tessere che Solzenicyn usa per comporre un minuzioso mosaico da cui è possibile desumere tutti gli aspetti della vita quotidiana nei lager. Una straordinaria opera corale, un «comune monumento eretto da amici in memoria di tutti i martoriati e uccisi», uomini spesso senza volto e senza nome - tra i quali i 227 ex deportati che aiutarono Solzenicyn con racconti, ricordi e lettere - senza i quali l'opera stessa non sarebbe mai stata «scritta, rielaborata e conservata».