“Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto”. Paolo, Prima Lettera ai Corinzi, 13, 12
Medico e psichiatra di formazione fenomenologica, Eugenio Borgna in questo testo descrive l'esperienza esistenziale di contatto e conoscenza con la storia interiore dei pazienti, con la loro fragilità come struttura portante della vita, rispondendo con una fiducia pascaliana di cuore alla condizione di speranza contro ogni speranza e di ricerca agostiniana inesauribile e dissonante di creatività e amore in ogni vissuto patologico, che porti i segni di malinconia, schizofrenia, stimmung depressiva o angoscia estrema. Borgna si muove nel solco di autori come Binswanger, Minkowski e Schneider e tratta il mistero del vivere e del morire, l'autre monde della malattia, dove l'infinito che è in noi, nella nostra finitudine, si lascia solo oscuramente presagire, attraverso l'ascolto e una sorta di religiosa devozione emozionale. L'esperienza aurorale della tristezza è accostata alle rivelazioni della poesia, anche nei casi liminali di morte volontaria: attraversiamo le parole di Sylvia Plath, Emily Dickinson, Ingeborg Bachmann, Georg Trakl e cerchiamo significati nascosti nell'arte di Frida Kahlo, Giacometti, De Chirico, Van Gogh e Camille Claudel. La parola nasce e finisce nel silenzio e la misura del dolore può essere decifrata solo dal linguaggio dei volti e dei corpi, in quella circolarità ermeneutica che permette a terapeuta e paziente di costruire un'alleanza tra soggettività che, tra ombra e grazia, porti a una reciproca donazione di sé. Possibile rimedio alla solitudine vertiginosa che coglie chi soffre e a volte anche chi cura è l'ascolto profondo, la risonanza interpersonale, l'apertura all'ambivalenza e all'irreversibilità del senso. La passione può aprire la porta sensibile alla radicale sofferenza dell'anima, all'alterità enigmatica, racconta l'autore, come un rabdomante, captando le voci che gridano nel vuoto, e seguendo le mistiche epifanie e le comunicazioni inconoscibili, così intuitivamente simili a quelle rintracciabili nelle impalpabili figure della memoria di personalità quali Etty Hillesum e Simone Weil. Il senso del male è indagato tramite gli invisibili sintomi, le ferite liquide, le resistenze indifferenti: il bene è un mistero, una non-azione, mentre il male si genera ogni volta che una persona è trasformata in cosa, ogni volta che l'altro è confinato in un deserto di inesprimibile dolore, in un abisso di privazione della libertà, nell'orrore della perdita del trascendente. Ma a volte, ricordano le testimonianze trasmesse dall'autore, la notte è oscura, ma l'oscurità non è tenebra, l'intensità splende nell'assenza, del tutto non richiesta, e la speranza rinasce senza ragione, precipitando dalle ombre della disperazione.
“Il senso cifrato della morte, la interrogazione radicale che essa ogni volta ripropone sul senso della vita e sul senso del destino, sulla terrestrità, o sulla trascendenza, della morte, sembrano divenute estranee alla coscienza, almeno a quella del mondo occidentale, di oggi: divorata dalla tecnica e dalla fuga dinanzi ad ogni problematica che non abbia possibili e immediate soluzioni tecniche. Ma l'angoscia, quando rinasce in noi, ci confronta con le domande ultime e con la morte: vissuta come imminente e incombente. Cadono le rimozioni, e le ombre della morte riempiono gli orizzonti della vita”.