Passiamo nel giro di poche ore di lettura dall’ultimo capitolo di VV (almeno così sembra acclarato), all’ultimo di Barbarotti, l’altro commissario di Nesser. Anche qui, direi più immaginato che dichiarato, visto che da 5 anni l’autore non scrive neanche di questo suo secondo personaggio. Ribadendo, come incipit propiziatorio, che Nesser mi sembra essere risalito sulle sue ceneri, continuando a sfornare, nel corso degli anni, dei romanzi con una propria logica, vediamo cosa ci propone oggi. Cominciando dal solito peana delle traduzioni, soprattutto dei titoli. Vedi un libro che si intitola “Confessioni…” e subito il tuo immaginario parte verso una ben precisa struttura di libri. Qualcuno che commette uno sgarro (uno sgarbo, un delitto, vero o immaginato) e che scrive per descriverne la genesi, e motivazioni. Magari anche per confutarne una versione acclarata. Invece, il titolo era “La squartatrice di Lilla Burma” (Lilla Burma significa in svedese ‘Piccola Birmania’, ma non per un riferimento alla bellissima nazione asiatica se non per la coevità con cui questi terreni agricoli furono costruiti rispetto a quel “ponte sul fiume Kwai” di rimembranze che mi riportano ad Alec Guinness; ma qui si divaga). Perché, benché sia Gunnar Barbarotti, il commissario italo-svedese, il motore dell’azione, la parte gialla si muove intorno a Ellen, la cui storia seguiamo molto anche attraverso il suo diario (quello che l’italian marketing vuol far passare per “Confessioni”). E ben complicata è la storia di Ellen. Ragazza non bella e neanche decisissima, frequenta un anno la locale scuola, vendo un flirt con il coetaneo Adrian, per poi allontanarsene subito per problemi familiari, e ritrovarsi sposata con Harry, padrone di Lilla Burma, e con un figlio apparentemente quasi autistico. Solo che Billy, il figlio, ha un terrore folle del padre, che lo picchia sovente, tanto da non parlare e chiudersi nel proprio mondo. Harry picchia sovente anche Ellen, che non riesce a reagire. L’ansia per la situazione monta di riga in riga, fino alla scomparsa di Harry. In un momento topico: il cugino del podere vicino è diventato l’amante di Ellen, e lì nelle “Grande Burma” stanno costruendo una piscina. Dopo mesi di vane ricerche, Harry viene ritrovato fatto a pezzi in diversi sacchi sparsi per la campagna. Ellen si autoaccusa dell’omicidio e, nonostante le attenuanti sui maltrattamenti, farà 14 anni di carcere. Dopo di che riprenderà una vita quasi normale, anche se non vedrà più il figlio Billy, che, benché introverso, ha imparato a parlare, si è sposato con Juliana con la quale ha una figlia. Ritrova Adrian, con il quale va a convivere. Sino a quando, 5 anni prima dell’inizio del nostro romanzo, anche Adrian scompare misteriosamente. Ma questa volta non viene ritrovato. Tutta questa storia gialla si intreccia con la “vera” trama che interessa a Nesser. Nella prima pagina del libro, Gunnar si sveglia nel suo letto, allunga una mano e sente che la moglie Marianne è morta nel sonno per un aneurisma. Questo è il dramma che segue l’autore. Che segue Barbarotti. Che seguiamo noi, con un misto di alti e bassi. Che il nostro è profondamente innamorata della sua Marianne, non riesce a comprendere la prova cui viene sottoposto, e si trova anche a gestire i loro cinque figli (nessuno in comune, due del precedente matrimonio di Marianne, e tre del precedente matrimonio di Gunnar). Con qualche passaggio non dico ingenuo, che sarebbe una inutile cattiveria, ma che mi lascia perplesso (sia Gunnar che Ellen sentono delle voci con le quali comunicano e con le quali fanno il conto delle loro azioni). Saranno un complesso di circostanze che aiuteranno, anche se lentamente, il nostro ad uscire dal dolore, o almeno a gestirlo. Sicuramente i figli. Con molto tatto, le discussioni con lo psicologo terapeuta del dolore. In modo traverso, il sempre miglior rapporto con la collega Eva. Anch’essa colpita da un dolore, seppur diverso: un divorzio traumatico ed un turbolento rapporto con l’ex-marito e la sua nuova moglie. Nonché, e questo ce lo si aspettava avendo conosciuto Marianne nei libri precedenti, proprio dalla stessa moglie morta. Che gli fa recapitare una lettera, consegnata alla di lei sorella, che dovrà ricevere solo dopo la sua morte. Ultimo elemento che consente agli ingranaggi del commissario di tornare con la testa fuori dall’acqua, è proprio il riprendere le indagini. Dove il suo capo, il misterioso, intelligente e contorto Asunander lo coinvolge proprio nel caso della scomparsa di Adrian. Risalendo a tutti i misteri irrisolti di cinque anni prima, pur con molta fatica, riesce a trovare i collegamenti tra i due casi. Nesser ci fa vedere a lungo quanto “femminicidio” possa essere presente in una nazione apparentemente avanzata sul piano delle libertà formali. E dopo una lunga cavalcata, capiremo perché Asunander ha voluto riaprire i casi, capiremo quali sono le reali colpo di Ellen, di Billy, di Adrian, e di altri personaggi che non cito, sia per brevità sia per non togliervi il piacere della lettura. Con una trama che, contento io personalmente, finisce con barlumi di speranza. Non sono certo un patito del lieto fine sempre e comunque, ma a volte sono più contento di leggere un finale di possibilità, che uno di cupa mestizia. Nesser è comunque uno scrittore abbastanza complesso, non a caso ex-insegnante di lettere in un liceo svedese, pieno di riferimenti alti, di mascheramenti, di citazioni bibliche e cabalistiche. Ma anche di giochi nascosti, come quello che vedo a pagina 37, dove la voce che parla ad Ellen la convince di confessare uno sgarbo da lei fatto durante le ore scolastiche a tale Annika Bengtsson. E allora? Se foste lettori che si segnano tutto, avreste scoperto che il nome citato non è altro che quello della protagonista dei libri gialli di un’altra grande svedese, Liza Marklund. Ma qui si esce dal seminato. Tronando alla trama, mi ha abbastanza convinto la parte “gialla”. Mi ha coinvolto la parte in cui si parla dei maltrattamenti sulle donne, e sui loro tentativi, spesso frustrati purtroppo, di ribellione. Mi sta lasciando pensoso tutto il discorso sulla morte di persone care, in questo 2017 che già troppo a chiesto ai nostri fragili nervi. Tuttavia, non è stato un pensare inutile, anche se forse, ora, esula da queste righe.