Contemplavo la costa. Osservare una costa che scorre via lungo la nave è come lambiccarsi su di un enigma. Eccola davanti a te, ridente, rannuvolata, invitante, maestosa, squallida, insignificante oppure selvaggia, e sempre muta con l’aria di bisbigliarti: Vieni a esplorare. Quella era quasi priva di lineamenti, come fosse ancora in fase di creazione, con un aspetto di monotona asprezza. Il margine di una giungla immensa, d’un verde così cupo da sembrare quasi nero, bordato dalla bianca risacca, correva via diritto come una linea tirata con la riga, perdendosi lontano, molto lontano lungo il mare azzurro il cui scintillio era offuscato da una bassa bruma. Il sole splendeva violento, la terra pareva luccicare e gocciolare di vapore. Qua e là, raccolte oltre la bianca risacca, spuntavano delle macchioline grigio-biancastre, forse con una bandiera che garriva su di esse. Insediamenti coloniali, già secolari e tuttavia non più grandi di una capocchia di spillo in contrasto all’inviolata estensione dello sfondo. Noi si arrancava a tutto vapore, ci si fermava, si sbarcavano soldati; si proseguiva, si sbarcavano doganieri a esigere tributi in quella che pareva una plaga selvaggia abbandonata da Dio, con una tettoia di latta e un’asta da bandiera sparse intorno; si sbarcavano altri soldati, a vigilare sui doganieri, presumibilmente. Alcuni, sentii dire, annegavano nella risacca; ma che annegassero o meno, nessuno parve darsene pensiero. Venivano giusto scaraventati là fuori e noi si proseguiva. Giorno dopo giorno la costa sembrava la stessa, come se non ci fossimo mossi