Corposo volume (oltre mille pagine) che illustra a fondo e in maniera mirabile la storia europea degli ultimi 60 anni, dall'immediato dopoguerra al 2005.
Complessivamente, secondo me, si tratta di un capolavoro della storiografia.
Vista la scarsa conoscenza, da parte della gente, della storia in generale, e in particolare di questo periodo (in Italia i programmi scolastici quasi mai vanno oltre la seconda guerra mondiale), si tratta di una lettura che definire obbligatoria, o quasi, non è per niente azzardato. Infatti credo (e non scherzo, anzi sono serio) che dovrebbe essere resa obbligatoria per quei politici, ma anche giornalisti e opinion maker vari, che si ritengono tanto ben informati su quello che è successo intorno a noi a partire dal 1945, ma che in realtà sono piuttosto ignoranti, o quantomeno soffrono di abbagli, coltivano pregiudizi, si nutrono di luoghi comuni, si limitano a consultare fonti cronachistiche spesso assai miopi.
Judt riesce invece a fornire un affresco completo e sostanzialmente oggettivo, molto ben documentato ma nello stesso tempo ampio e ben articolato. Si capiscono tante cose anche di quello che avviene ai giorni nostri, per quanto l'ultima data presa in considerazione dall'autore termini 12 anni fa. Ma questo, in attesa di future edizioni aggiornate, è un bene, tutto sommato: probabilmente l'autore avrebbe fatto fatica ad essere altrettanto chiaro nello spiegare gli avvenimenti a immediato ridosso. Infatti, le pagine migliori del libro sono quelle che arrivano fino alla caduta del muro di Berlino, e quindi all'avvio della trasformazione radicale dell'Europa dell'est, quella del Patto di Varsavia.
Questo è un esempio di come Judt riesca in poche parole a descrivere un cambiamento d'epoca avvenuto alla fine del XX secolo: "Gli uomini non vivono in mercati ma in comunità. Negli ultimi quattrocento anni esse sono state raggruppate, per loro stessa volontà o più spesso con la forza, in Stati. Dopo l'esperienza degli anni 1914-15 tutti sentivano un urgente bisogno dello Stato. Le politiche e i programmi sociali degli anni '40 sono frutto di questa preoccupazione più che di qualsiasi altra cosa. Con il raggiungimento della prosperità economica, della pace sociale e della stabilità internazionale (gli anni dell'immediato dopoguerra nell'Europa occidentale, ndr), tuttavia, tale bisogno ha iniziato lentamente a dissolversi. Il suo posto è stato occupato dalla diffidenza nei confronti di un'autorità pubblica troppo invadente, nonché dal desiderio di maggiore autonomia individuale e dell'eliminazione di tutte le restrizioni all'iniziativa privata".