Protagonista di questo romanzo breve di Onetti è un ex campione di basket ormai malato di tubercolosi che si trasferisce in un paesino di montagna. Si avvicendano al suo fianco due donne che rappresentano due diversi tipi di femminilità: la donna matura e quella giovanissima, appena uscita dalla pubertà. Ma qui tempo ed esperienza non rappresentano la maturità, bensì la decadenza, perché per l’autore uruguaiano non si può vivere un’esistenza confidando nel proprio corpo. Ogni corpo decade, tradisce…
Da giovani si confida nell’eternità della propria condizione e si pensa che solo gli altri invecchino. Lo scorrere dei giorni ci insegna che nulla dura né si ripete. Conduciamo il più delle volte esistenze che somigliano a binari destinati a incrociarsi solo in rare occasioni di scambio…
Dimmi, hai notato anche tu il modo in cui le donne conservano negli occhi le tracce dei loro viaggi in treno? Deve essere per via di quel desiderio che le accompagna, fatto di tutti i baci e gli abbracci che stanno raggiungendo.
In queste pagine si avverte forte il senso di fallimento di ogni legame e l’incapacità di comunicare dei protagonisti: chi cerca di non lasciarsi soffocare come individuo non riesce a mischiarsi con questa vita.
L’autore fa muovere il suo protagonista in un panorama fatto di pochissimi dettagli appena accennati. E’ questa la caratteristica di chi è un bravo scrittore di racconti. Il giocatore di basket, al pari degli altri protagonisti dei suoi romanzi, sembra trascinare la propria esistenza e il lettore comprende fin dall’inizio che in qualche modo è già condannato. C’è in questa, ma anche in tutte le altre opere di Onetti, la consapevolezza di una sorta di autodistruzione dell’uomo. Lo si intuisce dal modo in cui il racconto viene costruito, rendendo più interessante comprendere il passato dei protagonisti perché l’inevitabile epilogo è già lì, sotto i nostri occhi.