Scremate pure un bel po’ della mia dichiarata predilezione per questo singolare personaggio – una stupefacente chimera dello spettacolo, metà guitto e metà intellettuale –, ma questa è una delle poche letture “necessarie” dopo il rovinoso crollo delle ideologie che ha segnato la fine del Novecento. Mi correggo: di tutte le ideologie tranne il marxismo grouchiano. Quasi fosse una metamorfosi naturale, la barba bianca dell’autore del Capitale si è mutata in un paio di neri baffoni troppo finti per non sembrare veri, e la rivolta sanguinosa dei derelitti contro i padroni si è sublimata nella lotta beffarda dei moderni giullari (affrancatisi dalle loro corti) contro lo strafottente potere mediatico, vero cancro oramai planetario. Uno dei primi “chirurghi dell’anima” è stato proprio lui, insieme ai suoi irriverenti fratelli, ed in questa strampalata eppure veritiera autobiografia ci regala un affresco umoristicamente squinternato, ma vividissimo, di un’epoca che per certi aspetti non è ancora tramontata (vedi le crisi finanziarie tipo Wall Street o i recenti scandali sessuali ad Hollywood, e non solo). Si legge e si ride senza soluzione di continuità, presi dal turbinio delle avventure/sventure di una famiglia ad alto tasso di predisposizione artistica, opportunamente bilanciato da un’elevata capacità di sopportazione dell’iniziale, eppure prolungata e quasi atavica, penuria di denari. E quando finalmente arrivano il successo e i milioni – cose che di norma corrompono gli spiriti più refrattari – è per fortuna troppo tardi: i Marx sono già canonizzati sull’altare degli immortali, e purtroppo sempre più rari, dispensatori di felicità.