So di essere in contro tendenza nel dare un giudizio a questa pietra miliare della letteratura europea. Perché si tratta sicuramente di un buon romanzo, ben scritto, mai noioso, con momenti di profondità, abbozzi di caratteri indovinatissimi, un’ironia gustosa che fa capolino qui e là, considerazioni filosofiche a sprazzi. Ma, nonostante tutto questo, non mi è apparso quel capolavoro che molti, tra cui alcuni amici buoni lettori, mi avevano indotto ad aspettarmi. E pensare che adoro le saghe familiari, quelle lunghe storie che si dipanano nel corso degli anni e in cui si può seguire l’arco delle vicende dei personaggi attraverso le generazioni. Ma sotto questo profilo non regge il confronto con altri romanzi più o meno noti (mi vengono alla mente, tanto per fare qualche esempio, la trilogia familiare del “Labirinto del mondo” della Yourcenar, o, più di recente, “Middlesex” di Jeffrey Eughenides, ma anche, andando indietro nel tempo, “Cime tempestose” di Emily Bronte, o “I Malavoglia” del nostro Giovanni Verga). Qui tutto è prevedibile, tutto sembra rimanere sempre un po’ in superficie. E ciò appare tanto più strano sapendo che la saga della famiglia Buddenbrook è in realtà la saga della famiglia Mann. La lenta decadenza di questa famiglia della operosa e ricca borghesia commerciale nordeuropea non appare affatto (contrariamente a quanto si legge spesso nei commenti e recensioni) così inarrestabile, dal momento che, come è realistico che accada, procede a singhiozzo, con qualche affare non ben condotto che provoca perdite economiche, con riduzioni anche consistenti di capitale in occasione di esborsi dotali per i matrimoni delle figlie, con saltuari momenti di congiuntura, intervallati da periodi floridi, in cui tutto sembra procedere a gonfie vele ed i segni esteriori del prestigio stanno lì a testimoniare della fortuna e della considerazione sociale di cui la famiglia è investita. E nemmeno appare così inesorabile, se non nella parte finale del romanzo, quando è ormai chiaro che sull’ultimo erede non si potrà contare per la prosecuzione dell’attività di commercio, mentre nel frattempo l’ultimo caposaldo della famiglia comincia a perdere non tanto le forze, quanto la fiducia nelle stesse, insieme alla fiducia nel futuro. E benché si tratti di un processo di cui l’Autore è stato testimone direttamente coinvolto - lui che si ritrovò a soli 17 anni orfano di quel padre che era stato il fulcro dell’attività di famiglia, liquidata di conseguenza in fretta per mancanza di eredi in grado di continuare l’impresa - il racconto non appare pervaso da quel pathos che sarebbe lecito attendersi in una simile circostanza. Certamente l’Autore, con il pretesto delle vicende della propria famiglia, vuole comunicare anche altro. C’è il ritratto splendidamente delineato di una città, la Lubecca ottocentesca, la città anseatica ormai anch’essa sulla china di un’inarrestabile decadenza, appena lambita dagli eventi della grande storia (la rivoluzione del 1848, l’unificazione tedesca) in una sorta di immobilità, di atmosfera sospesa, tutta presa dalle piccolezze morali di una borghesia sfiatata e richiusa su sé stessa. E ci sono i singoli personaggi, il cui carattere è delineato per accumulo, per ripetizione di piccoli comportamenti o gesti (tipico quello di Tony che, con il gettare indietro la testa cercando nel contempo di tenere il mento premuto sul petto, cerca di darsi quel contegno esteriore nel quale è concentrato tutto il suo carattere), più che scandagliato in profondità. Del resto, la nascita della psicanalisi, e dell’introspezione psicologica nel romanzo, è vicina, ma ancora di là da venire. Ne risulta una sorta di esperimento che rimane a metà tra il romanzone ottocentesco, tutto incentrato sulla trama come pretesto per una profusione di descrizioni di ambienti, personaggi, paesaggi, ed il romanzo novecentesco più introspettivo, individuale, psicologico, profondo, in cui la trama si assottiglia fino a perdere talvolta completamente di rilievo. E tuttavia la qualità dell’Autore e di questa sua prima prova sono indubitabili, e quelle seguenti sono lì a testimoniarlo.