Quando frequentavo quella che all'epoca si chiamava ancora scuola elementare, nel periodo invernale in cui i pomeriggi scorrevano lenti, per non farmi rimanere chiuso in casa ché non si poteva giocare a pallone per le strade del quartiere, a me che stare chiuso in casa a fare le cose mie piaceva tantissimo, mia madre mi spediva pulito e pettinato nella Chiesa vicina che ospitava un gruppo dell'Azione Cattolica pieno di bimbi della mia età. Non c'erano alternative del resto ma io ci andavo di mala voglia anche perché la Domenica avrei dovuto seguir messa e questa cosa della messa, vi giuro, non l'ho mai digerita. Ma insomma, costretto, ci andavo a queste riunioni dove ti chiedevano chi fosse per te Dio, dove era la tua anima, perché il cancello nell'immagine sul libro era sempre aperto. C'era un solo momento che gradivo, quello tra una riunione e l'altra, quando potevamo parlare tra noi di quello che ci pareva, soprattutto di calcio o delle cose che avevamo, di cosa eravamo capaci di fare. Mi ricordo di un bambino un po' più grande e sveglio degli altri che veniva a tormentarci con quesiti matematici, indovinelli e giochi che ci piacevano parecchio e si faceva a gara per partecipare, robe del tipo: "Pensa ad un numero più piccolo di cento! Fatto? Ora dividi per tre e dimmi il resto. Ci sei?" E così via. Diventava una prova di forza, con i bulli (come li chiamano ora) in prima fila a cercare il primato anche nelle operazioni matematiche, tentativo sempre miseramente fallito. E così, quando ho sfogliato il libro di Dario Bressanini e Silvia Toniato, I giochi matematici di Fra' Luca Pacioli (edizioni Dedalo), sono tornato indietro nel tempo perché quel gioco lì, quello a cui non avevo più pensato, mi è arrivato dritto negli occhi con tutto il suo carico di ricordi.
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Ben me pare, per amore de molti idioti, dover ponere tra queste cose speculative, qualche piacevolezza, aciò anche loro s'abino a ricordare dell'ordinatore, e anche gli atri dotti ale volte arà refrigerio assai". Ed eravamo noi i piccoli idioti, piccoli somari che frequentavano una scuola dove ogni tanto un maestro paterno ci faceva divertire con i numeri, ci sfidava a risolvere un problema, non perdeva tempo a progettare progetti, non si preoccupava di definire competenze. Quello che entrava nella nostra testa al mattino, ne usciva al pomeriggio nei posti più strani, in una sala parrocchiale, in un vicolo, giù al fiume a catturare rane o a raccogliere liquirizia quando era possibile.
Io il libro non ve lo spiego, vi dico che è scritto benissimo e può essere letto da tutti, dai vecchi maestri ai giovani allievi, dagli appassionati di matematica a quelli di parola perché un Chimico-Fisico non incontra un Filologo tutti i giorni e che scrivano un libro assieme è cosa ancor più rara. Non vorrete mica perdervi questa "piacevolezza"?
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peppe-liberti.blogspot.com/2011/04/piccoli-idioti.html)