V'è il romanzo, e v'è la storia. Critici avveduti hanno definito il romanzo un frammento di storia che avrebbe potuto essere, la storia un romanzo che si è svolto nella realtà; bisogna riconoscere, di fatto, che l'arte del romanzo spesso merita più fede di quanta ne meritino i fatti. Ma, ahimè, certi spiriti scettici negano i fatti non appena escono un poco dall'ordinario: non per loro scrivo. (I sotterranei del Vaticano - Libro terzo, Amédée Fleurissoire - I, p.76)
Provocazione è una parola chiave della poetica di Gide, e questo suo "romanzo" ne è una delle migliori espressioni. Infatti, se inquadrato nella maniera corretta, cioè come una farsa - come già suggerisce il sottotitolo sotie, in sé molto più complesso dell'equivalente in italiano - esso può rivelarsi un'esperienza letteraria di grande interesse, e, soprattutto, all'avanguardia perfino per il periodo in cui è stato composto - 1914, contro il Manifesto del Futurismo del 1909.
Ad una prima lettura, in fondo, la storia dell’ateo positivista, che folgorato in sogno dall’apparizione della Madonna si converte improvvisamente al cristianesimo cattolico, non sembra tanto distante dal prolisso e arido romanzo realista di stampo ottocentesco, e lo stesso si potrebbe pensare dei vari personaggi che animano il romanzo, tutti tra loro correlati come nella più intricata delle cronache familiare. Tuttavia, vi è una differenza sostanziale: Gide condensa in una ventina di pagine una trama che avrebbe potuto costituire un intero romanzo di Balzac, e la piega con cui declina improvvisamente un mare di apparente noia è del tutto inattesa ed interessante.
Infatti, le macchiette si animano, tradendo le ipocrisie di cui sono prigioniere, e un intrigo riguardante la Chiesa e la Massoneria sarà fonte di un esilarante gioco degli equivoci, eterogeneo, ma sempre da leggersi in chiave farsesca, partendo dallo scribacchino da due soldi che rimane rapito da brillanti intuizioni, salvo poi ritornare in quel mondo di certezze abitato da contraddizioni, proseguendo col fervente credente che si improvviserà patetico paladino di una crociata dei poveri, terminando con un gruppo di nobildonne tanto brave a definirsi cattoliche quanto a tutelare i propri interessi economici e sociali: Gide scardina il romanzo nell'esatto momento in cui mette a nudo i personaggi per quello che sono.
Ma a risaltare è soprattutto Lafcadio Wluiki, un aspirante Dorian Gray all'apparenza, di cui lungo tutto il libro vengono delineati i preoccupanti pensieri e le perverse passioni, a cominciare dal gesto autolesionista di trafiggersi la coscia con la punta rovente di un temperino levigata a mo' di punteruolo secondo un criterio che sfugge alla razionalità - penso che la pena sia tanto più grave quanto più la trasgressione lo metta a nudo come uomo - per poi arrivare al vertice della sua lucida follia, ovverosia l'immotivato delitto, compiuto per il solo gusto di farlo, a cui dà motivazione un indimenticabile monologo interiore:
[...]Non tanto degli avvenimenti sono curioso, quanto di me stesso. Ci sono tanti che si credono capaci di tutto e poi, al momento di agire, si tirano indietro... Che abisso fra l'immaginare e il fare!...Se non si può ritirare la mossa, come non si può fare agli scacchi. Bah! potendo prevedere tutti i rischi, il gioco perderebbe ogni interesse!... Tra il modo come s'immagina un fatto e...[...] (Libro quinto, Lafcadio - I, p.139)
La psicopatologia generale ascriverebbe senza alcun dubbio la condotta di Lafcadio, nelle sue insicurezze e feticismi, nel disturbo di personalità, e il perfetto ritratto che ne traccia Gide, facendo del giovane l'unica vera persona umana in mezzo ad un teatrino di buffoni inconcludenti, è uno dei principali motivi dell'attualità del romanzo.
Ma non solo: accanto alla sottesa questione giurisdizionale, sempre da intrecciarsi alle teorie psicopatologiche, troneggia il momento di disquisizione tra Lafcadio e il fratellastro Julius, lo scribacchino di cui sopra, in cui l'inesplicabile omicidio pare trovare giustificazione nella sfera letteraria come puro atto estetico scevro da contraddizioni e ipocrisie.
Pensate un po', nel 1934 Nabokov pubblicava in lingua russa, il suo Disperazione, che ruota interamente attorno a questi argomenti - e vi consiglio caldamente di leggervelo, nonostante non sia ritenuto un capolavoro dell'autore. Questo per ribadire l'originalità e la lungimiranza della lezione di Gide, che però potrebbe non piacere a coloro che cercano un frammento di storia che avrebbe potuto essere, per dirla con l'autore stesso.