Ero molto curioso di leggere qualcosa di questo complesso autore inglese: scrittore, giornalista, fumettista ed altro ancora. Ma in particolare ero curioso di un duplice aspetto di questo autore. Scrive libri per ragazzi, vincendo con questo la “Carnegie Medal for children book”. E nello stesso anno, con questo stesso libro, vince il Premio Hugo di fantascienza. Chi sa i miei trascorsi giovanili, non potrà che convenire con me nella curiosa coincidenza. Da adolescente, avevo praticamente tutti i libri vincitori dei Premi Hugo (in onore di Hugo Gernsback, fondatore nel 1926 della prima rivista di Sci-Fi al mondo). Parliamo ad esempio di Robert Heinlein, di Fritz Leiber, di Philip K. Dick, di Roger Zelazny ino a Ursula Le Guin, Philip Farmer e Isaac Asimov. Ma la spinta finale me la donò il libro sulle cure librarie, accostando questo a quell’altro da poco letto (“Corri” della Patchett). Devo dire che confermo la gradevolezza del testo, la sua scorrevolezza, nonché rimandi sapienti a classici della letteratura gotica (da “Il castello di Otranto” Horace Walpole a “L’incubo di Hill House” di Shirley Jackson). Ma anche lo stile un po’ troppo didattico: certo in un “educational book” ci può stare, seppur a volte troppo palese. Fidarsi delle persone, ma controllare. Non aver paura dei diversi. Studiare. Osteggiare i bulli. Insomma, tutta una serie di codici civili che qualcuno dovrebbe ricordare a M6S (vediamo se capite a chi mi riferisco!). La storia, in sé, è di quelle che si pongono sul limitar del vero, dove, facendo un piccolo sforzo, si entra nel gioco e non se ne esce. Come cento anni prima di Neil era stato fatto per l’operazione Peter Pan. Un bambino sfugge ad una strage (ed in questo c’è un ricalco palese dell’inizio di Harry Potter), e viene accolto dalla comunità dei morti in un cimitero. Sotto l’egida della Signora con la falce, i morti si palesano al bambino. Due ne diventano i genitori adottanti. Uno, Silas, il tutore. In quanto Silas non è né vivo né morto, quindi può uscire dal cimitero e procurare al bimbo almeno da mangiare. Non esseno noto a nessuno, così viene chiamato; cioè, in inglese, Nobody, che verrà usato solo con il diminutivo Bod. Nel corso dei capitoli, assistiamo alla crescita di Bod, su per l’infanzia, sino allo scoccare dei 16 anni, che sembra un limite “fisico” per continuare a vivere con i morti (ossimoro cercato a lungo). E Bod attraversa tutte le tappe dell’infanzia e dell’adolescenza, contando solo sui suoi amici “tombali”. Che escono, girano per il cimitero, e non invecchiano (questo il peccato maggior per Bod che invece cresce). Ci sono i teneri genitori Owens, l’antico romano, il poeta, lo scrittore, e tanti altri. Oltre a Silas, che accoglie le richieste di Bod, risponde alle sue domande, cerca di indirizzarlo, ed anche di proteggerlo. C’è Liza, una falsa strega, bruciata per invidia e sepolta in terra sconsacrata. Che tuttavia è gentile e molto innamorata di Bod (anche senza possibilità di futuro). E poi c’è Scarlett, una bimba reale che incontra Bod intorno ai cinque anni. E che poi, dopo una parentesi scozzese, ritrova dieci anni dopo. Con immutata gioia e forse con l’idea che possa nascere qualcosa in più. Ma dietro tutti i momenti di formazione e di cauto divertimento, incombe la storia cupa. Chi è che voleva uccidere Bod? Ed il pericolo esiste ancora? Qui vediamo la parte più gotica del libro, dove ci sono i “buoni”, chiamati anche “Mastini di Dio”, che cercano e riescono alla fine a sconfiggere i cattivi. I buoni che sono amici i Bod: Silas, ad esempio, che scopriamo essere un vampiro pentito, e la signorina Lupescu, un lupo mannaro molto materno. I cattivi fanno parte di una non meglio “Confraternita”, un “Deck of People” (vedrete meglio il perché dell’inglese), che gestisce un non meglio fantomatico potere. Se si sente minacciata, interviene uccidendo a più non posso. Per fare ciò utilizza “gente di basso livello”, diremo i fanti dei battaglioni. Qui c’è appunto la parte intraducibile del libro e del gioco di Gaiman. Il potere è gestito da quell’insieme di persone numericamente ristretto, che costituiscono il mazzo (“Deck”). I sicari sono i Fanti, che in inglese vengono chiamati “Jack”. E sono proprio quattro Jack (come dice il capitolo “Tutti i fanti del mazzo” cioè “All the Jack of the Deck”) che cercano di eliminare Bod. Soprattutto il primo, quello che aveva ucciso la famiglia di Bod. Primo che si mimetizza in ricercatore stralunato, facendosi chiamare Mr. Frost, che raggira Scarlett per usarla contro Bod, minaccia che Bod sventa, facendo uccidere il cattivo da un mostro delle tombe. Ovviamente la parte “ironica” di Gaiman si mostra anche in questo passo, dove il cattivo, alla fine, si presenta come Jack Frost. Che a noi italiani non dice nulla, ma che nella letteratura inglese, e nei racconti popolari, è il nomignolo di Mastro Inverno, quello che porta freddo e gelo, e fa morire campagne e persone. Tornando al romanzo, Scarlett, pur volendo bene a Bod, rimane sconvolta da questi fatti. Sarà Silas a farle dimenticare tutto e rimandarla in Scozia. Dove forse, in un futuro libro, incontrerà di nuovo Bod, e tutto potrà cambiare. Ma Bod deve lasciare il cimiero, ormai è grande, e deve percorrere le strade del mondo. Come gli canta mamma Owens nella ninnananna che lo segue per tutta la storia: “Face your life / Its pain, its pleasure / Leave no path untaken” (“Affronta la vita / Son gioie e dolori / Non lasciar cammini inesplorati”; dove purtroppo nella traduzione l’ultimo verso viene aggiustato con “Che non siano inesplorate / le strade di ieri”. Perché ieri? Misteri). Alla fine, certo, libro per adolescenti, ma ce ne vogliono come questi per farli crescere. Ben scritto, Neil.
“È come chi crede che se va a vivere da qualche altra parte sarà felice, ma poi scopre che non è così che funziona. Ovunque tu vada, porti te stesso con te.” (118)