Giusta distanza dall'inquietudine altrui
Non mi capita spesso di leggere un libro deprimente come questo concentrato di nichilismo senza deprimermi a mia volta: buon segno. Buon segno perché vuol dire che invecchiare funziona. Non tanto per le barriere e le difese che uno via via erge per ammortizzare gli urti della vita, al contrario, pur smantellandole per un necessario alleggerimento propedeutico al rush finale, si è in grado di tenere una certa distanza emotiva senza per ciò non godere comunque dell'intensità, della profondità e della poesia di una lettura come questa.
«Ho vissuto tanto senza avere vissuto!
Ho pensato tanto senza aver pensato! Mondi di violenze immobili, di avventure trascorse senza movimento, pesano su di me.
Sono stanco di ciò che non ho mai avuto e che non avrò, stanco di Dei che non esistono.
Porto con me le ferite di tutte le battaglie che ho evitato.
Il mio corpo è dolorante per lo sforzo che non ho nemmeno pensato di fare.»
Non si tratta quindi, per difesa, di diventare impermeabili agli stimoli trasmessi dal forte contenuto del pensiero di Pessoa, bensì di attuare una permeabilità selettiva per goderne dei pregi evitando le mortificazioni e le destabilizzazioni che possono derivare da un eccesso di coinvolgimento e identificazione contagiati e frullati dalle angosce di chi va, meticolosamente e impietosamente, a togliere la polvere da tutti gli angoli dolenti dell'esistenza intera.
Detto ciò è un gran libro, gustato quasi come un Sartre.
«Un mattino in campagna esiste; un mattino in città promette; il primo fa vivere; il secondo fa pensare.
E io sentirò sempre, come i grandi maledetti, che è meglio pensare che vivere.»