Quando ho letto Cent'anni di solitudine ero praticamente una ragazzina.
Sarò stata in seconda forse terza massimo quarta liceo. Avevo appena iniziato a fumare di nascosto e avevo la testa piena di libri, film e canzoni di Paolo Conte.
L'unica cosa che desideravo veramente era essere unica, irripetibile, originale.
Avevo legato, ad esempio, ai raggi della mia bicicletta (una Bianchi da uomo che era stata di mio nonno, azzurra e bianca che, tra le altre cose, è ancora la mia bici oggi) dei minuscoli sonagli, come quelli che si legano al collo dei gatti, presente?
La mattina, quando arrivavo a scuola era tutto un tintinnio, che mi aveva valso il soprannome di Trilly, nella mia classe di allora.
Di tutto questo andavo molto fiera.
Arrivavo la mattina a scuola e avevo la sensazione di avere il potere di invadere il mondo degli altri con un po' della mia presenza, io arrivavo e gli altri si accorgevano, grazie al minuscolo polline di suono che mi portavo dietro.
Probabilmente era il mio modo, forse ancora un po' fanciullesco e stupido, di chiedere al mondo di accorgersi di me, del mio passaggio, il modo con cui affermavo risoluta di essere speciale, diversa, inimitabile.
Ricordo perfettamente la sensazione, leggendo Garcia Marquez, della mia sconfitta.
"lui, ecco, sì, porca miseria, invece, è originale, porca papera, al diavolo i miei stupidi sonagli avró pensato, probabilmente, di fronte al suo genio.
Ad esempio mi ricordo che su un foglio che tenevo infilato nel libro mi segnavo, via via che procedeva la storia, l'albero genealogico della famiglia protagonista, che si snodava pagina dopo pagina, in un mondo così diverso, così lontano dal mio modo di vedere e di pensare le cose, eppure così stranamente familiare e vicino.
Con Judy Budnitz la sensazione è la stessa. L'avevo già avvertita leggendo i racconti de L'odore afrodisiaco del cloro, che avevo parecchio apprezzato.
Mi ritrovo ora, al termine di questo romanzo, ipnotizzata dal suo stile onirico, a tratti grottesco, sempre sorprendente e, soprattutto, fisico, a riconfermare il giudizio.
Leggendo il romanzo ti si riempie la testa di un mondo totalmente altro, totalmente familiare e così fisico, così reale, da vederne i colori e percepirne odori o la ruvidezza di certe sensazioni fisiche.
Non so come ci riesce, ma in questo è davvero pazzesca.
Alla faccia dei miei stupidi sonagli.