I temi affrontati, il disagio famigliare, l’infanzia e l’adolescenza negate, le figure genitoriali incapaci di porsi come punto di riferimento, sono indubbiamente interessanti e raccontate con un linguaggio chiaro, semplice, mai banale. Si intuisce la conoscenza dei problemi di cui l’autore parla e della sua capacità di empatia verso le problematiche del disagio famigliare e dell’affido in comunità. Però in questo romanzo non c’è organicità e coesione. È molto frammentario e questo non solo a causa dei capitoli molto, troppo, brevi. L’autore passa da una situazione all’altra, da un ambiente all’altro, da un tempo presente ad uno passato in maniera repentina e senza dare al lettore la possibilità di entrare con il cuore e con il pensiero in un momento del racconto perché improvvisamente ne viene strappato per essere catapultato in un altro. Inoltre ci sono troppe diramazioni assolutamente inutili, se non gravose, in un romanzo di poco più di 200 pagine. Troppe circostanze, troppi fatti che avrebbero potuto tranquillamente essere tralasciati per lasciare più spazio alle vicende dei protagonisti. Avrebbe avuto un senso, infatti dilungarsi sull’amore tra gli educatori, parlare della gravidanza dell’assistente sociale o del suicidio di un personaggio assolutamente secondario, se essi fossero entrati a pieno titolo nella vicenda, ma questi episodi rimangono al margine, non se ne conoscono gli sviluppi, sono inutili alla storia complessiva e la appesantiscono inutilmente.
In conclusione, un romanzo interessante per le tematiche affrontate, che si legge molto velocemente ed anche con interesse, ma che non rispetta assolutamente le aspettative, soprattutto considerate le altre opere di Fabio Geda.