Una storia che, nei suoi componenti ma con sviluppi diversi, Simenon riprenderà vent’anni dopo in Maigret al Picratt’s.
Stesso fumoso e losco ambiente del night club, una ragazza dal passato oscuro come perno della vicenda, una vittima che resta praticamente sullo sfondo (il greco in questo, la contessa in quello).
Quel che fa la differenza è il grado maturità dell’autore: mentre quella del Picratt’s, sebbene scritta in America, è un gioiello di ambientazione e un capolavoro di introspezione psicologica, quella del Gai Moulin è una storia con qualche tratto grossolano, completamente diversa da tutti i titoli di Maigret (qualcosa del genere lo si ritrova nei racconti, quasi tutti deboli e stiracchiati).
Agenti segreti con documenti scottanti, Maigret che sposta cadaveri e poi si fa arrestare, alza le mani, tratta con sufficienza il collega belga; e ancora: un locale sordido, in realtà crocevia di intrighi internazionali, Grafopulos inviato a sostenere la prova del fuoco. Troppa roba forte, non convince.
Eppure, anche in questa prova meno felice Simenon riesce a dipingere un quadro d’insieme impeccabile, partendo dalla giovane entraineuse. Dei due ragazzi, il ricco viziatello somiglia ai personaggi totemici di Simenon, mentre il giovane traviato ma recuperabile è originale, e lo ritroveremo raramente nella produzione successiva.
Per tutto il resto, la magia della scrittura è quella del suo talento inarrivabile. Mai una parola di meno, mai una di troppo.