La bambina del mare by Lucio Figini
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Esistono silenzi che valgono più di mille parole, e David, educatore professionale di comprovata esperienza, lo sa bene. Quando sulla soglia della comunità socioeducativa per cui lavora fa capolino Ariel, una bambina abbandonata alla stazione di Sestri Levante, il suo unico obiettivo diventa restituirle un’identità e, con essa, la speranza di un futuro senza ombre. Improvvisandosi investigatore, si reca nel luogo del ritrovamento con un disegno di lei che indica una casa su un promontorio. Inizia le ricerche ma qualcuno sembra seguirlo fin da Pavia: un suo vaneggiamento oppure la verità su Ariel deve rimanere nascosta? Perché sente la necessità impellente di sapere cosa le è accaduto? Nel golfo della piccola “città dei due mari” scoprirà che esiste un filo sottile, invisibile ma resistente, a legarlo alla bambina del mare. Quando sedici anni dopo, Ariel, ormai adulta, metterà la propria sensibilità al servizio della polizia, collaborando come profiler in un caso di omicidio, il quadro potrà dirsi veramente completo ed entrambi troveranno la pace che cercavano.

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Giogio53
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Insufficienza nera - 08 mar 20
Terzo e per ora (ma anche per dopo) ultimo titolo di questa collana nata per i tipi della Fanucci. Autori italiani (motivo dell’acquisto) ma trame di scarso coinvolgimento (motivo della fine). Qui inoltre siamo di fronte ad una strana operazione, almeno per come l’ho capita io. Tra il 2010 ed il 2013, Figini scrivi due, o forse tre, racconti lunghi anche se del terzo non so nulla per la “Cicorivoltaedizioni”. Poi tre-quattro anni dopo, Fanucci lo convince a prendere in mano i primi due, collegarli o raccordarli, in modo da farli diventare questo romanzo di cui state leggendo. L’ambiente è di necessità similare, in quanto Figini da una ventina di anni lavoro in ambito psichiatrico. Ed i due racconti da lì ne traggono linfa. Ovvio che ci siano delle diversità nel prodotto finale (ad esempio nei due racconti uno dei personaggi-chiave si chiama Francesco, mentre ora si chiama David), ma il prodotto finale, comunque ne risente, e, con tutta la buona volontà e la benevolenza, non riesce ad avere un respiro unitario. Certo, alla fine i personaggi e le loro vite si incastrano, ma si sente lo sforzo esterno per raggiungere questo risultato. Non si sente quello che poteva essere un respiro univoco, anche se penso che l’autore avesse comunque in mente qualcosa che si incastrasse. Figini, attingendo ad esperienze e fantasie, ci narra (anche) di persone disturbate. David, ad esempio, è di certo un buon educatore, empatico con i pazienti, ma incapace di costruirsi una sua vita di relazioni. Tanto che l’autore ci descrive, con maniacale esattezza, riti e modi affinché il buon David riesca a sopportare la realtà. Anche Ariel, che attraversa i due racconti (che per me non diventeranno ancora romanzo) è “strana”. Trovata alla stazione di Sestri, compulsivamente attratta dall’acqua, muta o incapace o volontariamente astenendosi dalla parola. Anche il fantomatico “Mister Black” del primo racconto non sembra sano: vestito sempre di scuro, con la mania di controllare tutto, sempre nell’ombra, ma attraversando le pagine anche in silenzio. O il dottor Marino del secondo, di successo, fintamente allegro, sicuramente con qualche ombra che ancora non si riesce a vedere. Certo ci sono persone “normali”: la barista Milena che cerca di rapportarsi con David o il commissario Michele che cerca di rapportarsi con Ariel. Di certo, alcune delle migliori cose sono le ambientazioni, invece. Primo perché si introduce la bella Pavia, non spesso teatro di trame moderne (lasciamo la Certosa dove sta, please), e che mi consente di rivolgere un saluto alla mia cara amica Nicoletta ed alla sua crescente famiglia. Ma soprattutto Sestri Levante, lì dove stanno per cominciare le Cinque Terre, con le sue viuzze, con le sue calate a mare, con i quartieri che non si raggiungono se non in barca. Insomma, se non un bel libro “noir” (e non è un bel libro), di certo un libro che suscita piccoli ricordi e piccole emozioni. Il romanzo in sé, allora, si svolge prima sulle tracce dei pensieri di David, che, in quanto collaboratore in una struttura psichiatrica, accoglie nell‘ospedale una bambina di 11 anni, scioccata ed apparentemente muta. Tra David e la piccola Ariel si instaura subito un rapporto di onde di pensiero, che portano i due a comunicare, anche se non verbalmente ma attraverso disegni. E portano David a cercare di risolvere il mistero della comparsa della bimba. Per questo si sposta tra Pavia e Sestri (poco meno di 200 chilometri), dove, sostenuto anche dalla bella Milena, riesce a trovare tracce del passato della giovane. Un passato che non ci sorprenderà intrecciarsi con molto presente. Nel secondo, passati sedici anni, Ariel scopre di avere una sensibile empatia verso la gente, così da poter essere d’aiuto al suo futuro fidanzato (almeno spero) il commissario Michele. Nell’indagine relativa alla strana morte di un dottore, anch’esso dedito alla psichiatria. Qui vediamo le patologie e le paturnie strane di Ariel, vediamo morire persone a grappoli, e vediamo costruirsi un castello di soluzioni troppo ovvio per essere vero. Non voglio dire di più, che troppe cose si capirebbero altrimenti, ed io verrei di nuovo accusato di raccontare troppo. Certo, è una mia mania, ed a volte mi prende la mano (o la penna). Sarei soltanto curioso di capire perché Figini alla fine bene o male ci svela tutte le pieghe ed i misteri, meno uno. Da dove viene e chi è la bella Caterina? Chissà se è volutamente ignorata per mancanza di adeguate soluzioni, o ci si riserva di tornarci sopra in un futuro. Per ora lasciamo che Fanucci torni alla fantascienza, dove si muoveva meglio, mentre riponiamo i neri italiani in uno scaffale apposito della grande libreria.
“Afferro una barretta di cioccolato, non riesco a stare un solo giorno senza mangiarne. È una vera dipendenza, sono drogato di fondente, a non meno dell’ottanta percento.” (49) [anch’io]
“È pericoloso nuotare senza una persona che le stia vicino, come è pericoloso nella vita non avere nessuno accanto. Ci si abitua facilmente, mi creda, e poi è troppo tardi.” (200)
“Una tazza di tè fumante e un contenitore di miele di castagno. Speziato e con un retrogusto amaro, il mio preferito.” (233) [anche il mio]