La mattina dopo mi svegliò il telefono.
Emisi una sorta di profondo ruggito e mi trascinai in corridoio avvolto negli asciugamani che avevo usato per coprirmi. Vi ho già detto come sono appena sveglio. Andai a sbattere contro il tavolo e feci cadere il telefono, lo lasciai per terra e cercai il ricevitore a tastoni, poi lo scossi per farlo smettere di suonare, e quando mi accorsi che non smetteva me lo misi all'orecchio e ruggii di nuovo.
«Sei tu stavolta Romanov?» disse quell'orrenda voce di donna.
«Grash!» risposi io.
«No, adesso ascoltami: ho cercato con tutte le mie forze di essere comprensiva, e dio sa se ho provato a vivere con quella miseria che mi dài...»
Emisi un gemito. Probabilmente era quello che in genere faceva Romanov, perchè lei credette che fossi lui. Continuò, inarrestabile, su quanto fosse difficile mantenere un'immagine senza soldi sufficienti e come la gente la guardasse perché lei era costretta a indossare due volte lo stesso vestito - cose di questo genere. Mi mandò fuori dai gangheri.
«Perché non si guadagna dei soldi per conto suo?» le dissi, tranne che in realtà uscì fuori «Agnaldintosu?»
«Cosa?» fece lei. «Romanov, sei ubriaco?»
«E' che non ho ancora bevuto il caffè » risposi, o piuttosto «Ghegnonutoffè».
«Lo sapevo!» esclamò lei, trionfante. «Romanov, sono seriamente preoccupata per te. Qui avresti potuto fare una carriera scintillante, avevi il mondo ai tuoi piedi quando mi hai abbandonato e ti sei ritirato in quell'isola. Non ti ho capito allora e non ti capisco adesso. Ho sentito che stai progettando di mettere su un circo. Francamente, non mi sorprende che tu abbia cominciato a bere. Devi tornare subito qui e riprendere il tuo posto tra la gente come si deve con la giusta prospettiva sulla vita prima di andare in pezzi. Tu sai che io posso occuparmi di te. Posso aiutarti, Romanov; temo che tu stia frequentando cattive compagnie - non mi è piaciuto affatto quel tuo custode, e sono sicura che l'elefante non è che una richiesta d'aiuto...»