F C S ovvero Fulgur Conditum Summanium, la dicitura che veniva incisa alle pietre che nell'antica Roma venivano poste nei luoghi colpiti dai fulmini. Summano era una divinità infernale, tutore dei fulmini notturni: nei punti in cui cadevano, i fulmini aprivano un varco tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Un vero e proprio funerale veniva celebrato per seppellire ciò che il fulmine aveva colpito. Si concludeva con l'apposizione di una lastra di marmo che riportava l'incisione F C S.
Questa la suggestione da cui Matteo Trevisani si lascia guidare per il suo primo romanzo, Il libro dei fulmini appunto. Il protagonista, anch'egli di nome Matteo, trentenne colto e appassionato di storia, archeologia ed esoterismo, vive un momento di inquietudine: vagando per una Roma atavica, sepolta da quella moderna, riflette cupo sul significato e sull'utilità della sua vita passata - delle sue origini, degli studi e delle conoscenze acquisite, delle relazioni e delle esperienze che ha avuto fino a quel momento - e si interroga sul suo futuro. In preda a questo stato alterato, una concomitanza di eventi anomali lo conduce ad assistere ad una cerimonia crepuscolare nel bel mezzo del Foro Antico: le luci di tre fiaccole danzano attorno a una figura vestita di bianco. Il giorno successivo, tornato al punto in cui è apparsa quella che gli è sembrata una visione, Matteo scopre una lastra con incise le lettere F C S. Inizia così un'indagine sospesa in un mondo di mezzo dove non vale più lo scorrere lineare del tempo, dove il doppio è la norma, vivi e morti si mischiano e le arti magiche sostituiscono religione, scienza e tecnica nel governo e nell'interpretazione della natura e della vita, nella creazione di senso.
Trevisani fa sfoggio della sua cultura; la trama del libro, inconsistente anche per la vicinanza del contenuto al sogno e al magico, appare come un filo da imbastitura usato per appuntare assieme e rendere visibili storie, nozioni e misteri che alcuni ben selezionati luoghi di Roma emanano nuovamente dopo secoli e secoli di silenzio e invisibilità. La conoscenza e la passione dell'autore sono evidenti ed encomiabili, la sua ambizione è elevata, ma il lettore che non ha la sua stessa cultura come può al contempo apprezzarle e rimanere avvinto dalla storia che gli viene raccontata? Torna in mente, non per paragone ma per analogia, Il nome della rosa di Umberto Eco. Lì, l'indagine era tesa alla rivelazione di un mistero ed era condotta da una coppia creata sul calco del modello di Sherlock Holmes - Watson, un classico del genere giallo; qui, il mistero da risolvere appare tutto interno al personaggio/autore (l'omonimia non sarà stata scelta per caso), in qualche modo ripiegato su se stesso e reso inavvicinabile, coadiuvato dai discendenti di un'antica famiglia romana, custodi di segreti antichi tramandati fino alla contemporaneità. Là, la cultura serviva all'investigatore per violare il mistero su cui indagava, qui è lo strumento utilizzato per crearne uno su cui indagare. Là il senso non esplicitato emergeva spontaneamente, qui è soffocato dal pregio delle nozioni elargite quasi in ogni pagina. Certo non sfugge, ed è davvero interessante, il parallelo creato da Trevisani tra il passaggio tra il mondo dei vivi e quello dei morti e quello tra la giovinezza e l'età adulta. Nel primo caso sono i fulmini a fare da chiave comunicativa. E nel secondo? Un'indagine deve svelare chiaramente l'oggetto misterioso che ne è al centro. Una maggiore dose di concretezza, un maggior equilibrio con la realtà, avrebbe forse consentito una più soddisfacente soluzione ai problemi che ogni lettore si pone ogni volta che si avventura in un testo. Certamente varrebbe la pena di utilizzare il romanzo di Trevisani, provvisto persino di una mappa, per visitare con approccio inusuale alcuni luoghi nascosti della caput mundi.
"D'accordo. Semplificando molto: si crede che la magia, quando funziona, si realizzi per due motivi principali, per somiglianza o per contrasto. Frazer, nel Ramo d'oro, la mette in questi termini e diciamo che in un certo senso ha ragione. Il contrasto diventa il tabù, la somiglianza il contagio. Questa è la base. Tutto funziona così. Da quando si è capito questo non si è cercato di far altro che decodificare la somiglianza, cercare di comprendere che cosa significava che due cose avessero la stessa natura".