È proprio la sensazione di essere in bilico che accompagna il mio primo approccio a Jodorowsky. In bilico tra sogno e realtà, tra rifiuto ed apprezzamento, tra religiosità e blasfemia.
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Tanti opposti, quindi, che mi hanno tenuto, per tutta la durata del libro, in equilibrio su un filo sottile; in un continuo sentirmi scivolare un po’ da una parte ed un po’ dall'altra. Un libro che faccio fatica a valutare, così come fatico a comprendere appieno se, e quanto, abbia realmente apprezzato.
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Un percorso familiare surreale, trasudante ebraismo, sesso e violenza, in un susseguirsi di discese e risalite, crolli e resurrezioni, tentativi di radicarsi e fughe, lotte per portare avanti un ideale e scartamenti per non farsi cancellare dall'impeto degli avvenimenti.
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Di certo Jodorowsky ha stile; una grande potenza narrativa. Una scrittura magnetica che, nonostante l’infinità di scene eccessivamente assurde che più volte mi hanno fatto storcere il naso ed inarcare un sopracciglio, ha saputo catturarmi e, per motivi che ancora non riesco interamente a spiegarmi, ha saputo trasmettermi quella necessità di avanzare speditamente nella stramba epopea familiare che acquista forma tra le pagine.
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Un autore che mi sono imposto di scoprire meglio ed al quale riserverò altro spazio sui futuri scaffali della mia personale libreria. Da considerare nel caso si fosse alla ricerca di un viaggio al limite dell’assurdo; un percorso surreale che è, al contempo, fiaba genealogica e mitologia in un groviglio di misticismo, ebraismo e magia.