"Gli inizi dell'estate del 1955 avrebbero potuto anche essere insopportabili per i coniugi Wheeler, e la fine cambiare totalmente piega, non fosse stato per il calendario appeso alla parete in cucina." Ripetere la prima strofa e cambiare il finale. Ripetere la prima stanza del poema e cambiare il finale. Ripeterselo, quando si vive la prima scena, e accontentarsi del "buona la prima", oppure misericordiosamente dimenticarla e passare oltre. Frank lo sentiamo parlare spesso nella sua testa, April la ascoltiamo parlare spesso a qualcun altro. Entrambi costruiscono con le parole la realtà. Cercano di fletterla. Ma la realtà, lastra d'acciaio, non si può piegare. Se i Wheeler fossero solo dei giovani narcisisti Revolutionary Road non sarebbe quello che è. Se si trattasse solo dell'impossibilità di collocare un ennui che non si può definire e di discuterne, o dell'impermeabilità alla vita alla sua a volte misericordiosa materialità di proprietà e di affetti, non sarebbe un romanzo tragico ma un romanzo esistenzialista. Essendo invece una carrellata di interruzioni ( lo stesso Yates a quanto pare ne ha parlato così, ma usando un termine più netto e più forte, una parola che proprio oggi, ed è il 2022, è su tutti i giornali ), comprende pagine molto complicate il cui maggior pregio è la linearità. Una linearità che ti prende a schiaffi più di una volta, senza preavviso. Chi può dire come sarebbe andata se lo spettacolo dei Laurel Players, all'inizio della vicenda, avesse svolto la funzione palliativa che doveva avere, invece di deludere le aspettative? Leggo di Yates che è uno scrittore che piace agli scrittori. L'ho letto di Updike, l'ho letto di Anne Tyler, ho letto di Updike che loda Tyler e di Nick Hornby che cita Yates e apprezza Tyler pure lui. Vero o meno che sia si capisce che Yates é certamente uno che sapeva scrivere. Con la parabola discendente de I non conformisti - titolo che suona come un anatema contro un'eresia, o un'assoluzione programmatica di fronte all'inevitabile - ha forse voluto dar conto di un ulteriore aspetto della problematicità matrimoniale (americana?) con largo anticipo e un'ottica interessante sul rapporto post bellico con l'esistenza. Quando anni come i secondi '40 coincidono con la prima giovinezza l'ottimismo dei '50 dovrebbe introdurre alla solidità della maturità. Ma non è facile ri-livellare le aspettative e trovare il proprio posto, il senso della propria esistenza. Leggo sulla quarta di copertina della mia ( trafugata, ma d'altra parte se i libri arrivano alla terza generazione vuol dire che invecchiano bene o non invecchiano affatto) copia dell' edizione italiana del '66 che non importa che i Wheeler siano americani, perché lo "stile di vita" americano è diventato ormai condiviso, universale. Ma l'ironia implicita più oltre lascia intendere che l'America, più giovane, è necessariamente più sprovveduta dell'Europa (Pittoresca? Bombardata? Colta?) più vecchia, nell'affrontare le asperità del proprio io. La verità è che le asperità non si possono affrontare in un vuoto emotivo che non lascia scampo, in una totale assenza di tenerezza, anche per se stessi. Le affinità con lo "stile di vita" descritto, se ci sono, sono anticipatorie. Lo spaesamento da collocazione negata di April (perché Frank in realtà attenderebbe con sollievo di sentirsi dire cosa fare da un'entità migliore e paterna che per un momento si incarnerà in Bart Pollock ) è di sicuro contemporaneo, forse più adesso di allora. "Al contempo si rese conto, con un ultimo frammento di se stesso, che esisteva un qualcosa di errato nella natura stessa della logica dalla quale era stato portato fino a quel punto, ma ormai era troppo tardi." É Fitzgerald questo, non Yates, e siamo nel 1931, trent'anni esatti prima di Revolutionary Road . Queste storie di meccanismi che non funzionano, di rondelle che stridono e si inceppano disegnano costellazioni di personaggi (persone) sole, e sole inutilmente. Lasciando sul ciglio l'analisi sociologica ho trovato, con sorpresa, un grande senso - gusto? - del tragico, e delle pagine bellissime, interne, e interiori. "L'intera sua giornata era stata un'eroica preparazione di questo istante di auto-umiliazione; e ora il momento era giunto, e che fosse dannata se permetteva a qualcuno la minima interferenza." [ April ] " [...] e si levó in piedi di scatto per indossare il resto dei suoi semplici, simpatici panni da campagna, ma ormai era troppo tardi, e per i cinque minuti che seguirono dovette starsene lì, aggrappata con ambo le mani alla spalliera del letto, stringendo con forza le mascelle perché stava piangendo." [ Helen Givings ] Ho trovato - sorpresa ancora più grande - un racconto classico, circolare, che ti aspetteresti di vedere rappresentato con dei templi sullo sfondo: la vicenda si sviluppa tra due eventi identici. Solo che la prima volta il fatto viene in qualche modo aggirato, rimandato. Diventa chiaro nell'ultima parte che non può essere eluso, come una profezia. Belle le cesure, le ripartizioni non annunciate, ci vuole una mano istintiva e tecnica per questo, il taglio è tanto più difficile delle cuciture, e i tagli mi lanciavano avanti come una biglia su una pista che credevo sarebbe stata una discesa e invece era un otto scavato nella sabbia. "La capacità di misurare e suddividere il tempo ci offre una quasi inesauribile fonte di consolazione" inizia così la terza parte del romanzo, forse perché a misurarlo, il tempo, ci si rendo conto che non è immobile, che non è fisso a una certa data e a una certa ora, dopo le quali, come accade invece a Frank Wheeler, non si può tornare all'illusione precedente. "Non c'era nessuno, e non sarebbe arrivato nessuno; la casa echeggiante era tutta per loro." E poi parte terza, capitolo settimo, e capitolo ottavo. "Ci hai pensato bene, April?" Forse dopo tutto la discesa c'è stata. E anche rovinosa. Dolorosa. Olimpica.