La premessa necessaria è che questo libro non è un capolavoro (tende a essere un po' statico in alcuni momenti della narrazione).
Trovo, però, che capolavoro non abbia nemmeno la pretesa di esserlo.
Non l'ho trovato neanche un romanzo provocatorio, se è per questo.
Quello che trovo sempre nei romanzi di JT LeRoy (o Laura Albert, che dir si voglia) è una capacità di trasfigurazione straordinaria.
La situazione di partenza è una fra le più degradate che possano venire in mente: dodicenne figlio di una prostituta, il narratore desidera diventare prostituta a sua volta. Vive la propria vita seguendo le orme di una madre sbandata, sempre pronta a correr dietro al primo uomo disposto a offrirle il miraggio dell'amore, dei soldi o anche soltanto di un bicchiere di whisky. All'età di dodici anni riceve dal pappone Glad un osso di pene di procione, e fa ufficialmente l'ingresso nel mondo delle lucertole da parcheggio. La sua indole curiosa e arrivista lo spingerà, però, ad allontanarsi dalla "bolla" protettiva di Glad. Si troverà così in un altro parcheggio e in un'altra - ben diversa - situazione.
Noi lettori ci troviamo ad avere a che fare con una variopinta umanità "di margine", un mondo legato esclusivamente al denaro ma in cui non mancano i sentimenti veri. Anzi, forse c'è più verità lì che non nell'ipocrisia del mondo "standard".
Ciò che è davvero interessante nel libro, molto più del protagonista in sé, è il festoso e a tratti inquietante nugolo di personaggi secondari, uno più sciroccato dell'altro, con cui si trova ad avere a che fare. Glad, Pooh, Madre Shapiro, Sundae e Pie, Stacey e molti altri, formano una variopinta serie di scampoli di umanità e una galleria di personaggi colorati e grotteschi, di cui è a tratti davvero godurioso leggere (si veda, ad esempio, l'indimenticabile, divertentissima, cinematografica corsa in camion della geisha e della cheerleader). Tra rituali sciamani e roghi cristiani da inquisizione, tra dogma e superstizione, si dipana la favola nera di Sarah, santo e demonio, bambina e ragazzo.
Di squallore ce n'è tanto in queste pagine, ma i toni si mantengono sempre sopra le righe. La narrazione scorre serrata, la mano è sicura e non sfocia mai nel volgare o nello scandalistico. Oh, Laura Albert sa scrivere. E tutto viene, appunto, trasfigurato con gli occhi del ragazzino. L'effetto è straniante, quasi magico, psichedelico. Soltanto il finale è un po' amaro, ed è giusto che sia così visto tutto ciò che accade. Sembra davvero di leggere un qualche remake di "Alice nel paese delle meraviglie". E ci si trova a credere nei poteri del Cervoconiglio anche se è solo un finto trofeo da stazione di servizio. Anche se sono tutte coincidenze. Anche se Pooh non ha realmente il "sesto senso".
I personaggi, insomma, sopra al degrado ci galleggiano, in qualche caso ci nuotano, sempre vogliono (o credono di) innalzarsene. A prendere la narrazione da un altro punto di vista, ci sarebbe probabilmente soltanto da piangere perché sì, questa è gente che la vita ha rovinato. Meglio se JT non esiste, significa che un bambino in meno ha dovuto vivere certe esperienze. E, tuttavia, il punto di vista è quello dell'infanzia. Ogni esperienza viene sublimata e ne risulta un effetto di grande tenerezza, di levità, anche di delicatezza malgrado l'ambientazione.
L'unico vero, grande dolore, è l'assenza della madre: quella madre volubile, infantile, bellissima e assolutamente incapace di badare a se stessa, con cui il protagonista si identifica al punto da assumerne il nome. L'ombra di Sarah rimane sempre tra le righe, nei pensieri. C'è questa certezza che, per quanto lontani, si ritroveranno. Perché è come se madre e figlio fossero parte uno dell'altra, attirati come calamite. E sembra che la sola consapevolezza che lei sia da qualche parte e sia viva basti a rendere il giovane narratore più felice.
Questa, ricapitolando, è una favola. Una favola anche molto ironica sulle fragilità umane, una storia di sentimenti sinceri - come l'amore di un bambino per la madre, o come l'amore e basta - che fioriscono là dove la disumanità dovrebbe essere completa. Un misto inebriante di colorata innocenza e di fumosa decadenza, notturno e colorato. E, al di là di qualsiasi giudizio sulla vicenda truffaldina di JT, non posso non sperare che Laura Albert torni a scrivere, stavolta col suo vero nome, perché la trovo davvero un'ottima narratrice.