"In fin dei conti" pensavo, "ho solo venticinque anni. Sono giovanissima, la mia vita è come una carta di credito che consente di fare acquisti senza dover pagare in contanti: il conto arriverà solo a fine mese. E sono più raggiante di tutte queste insegne al neon, più ricca di un Bancomat." [..]
Ero triste e stanca, non sapevo più nemmeno io come mai avevo deciso di venire a Pechino. Ero agitata, superficiale, non coerente, come un'anima dannata che si muove perennemente senza mai fermarsi, neanche per un istante. Avvertivo una stanchezza tremenda, la mia completa nullità; persino la creazione letteraria non era in grado di farmi sentire più sicura, più soddisfatta. Non avevo niente e nessuno, l'unica cosa che ero stata capace di fare era volare qua e là, e passare le notti in bianco, non riuscivano a salvarmi né la musica, né l'alcol, né il sesso. E così, giacevo a letto, in piena notte, senza riuscire ad addormentarmi, come un cadavere con gli occhi aperti. Pensavo: "Sono destinata a sposare un cieco con un cuore buono, perché anch'io vedo solo l'oscurità. Questo è il volere di Dio".