Leggendo la storia della letteratura americana si ha l’impressione di un lavoro frettoloso e poco omogeneo.
Molto curata la parte iniziale dai canti dei pellerossa fino all’affermazione del romanzo in America.
Alcuni scrittori sono trattati in maniera più approfondita: è, ad esempio, il caso di Poe, Hawthorne, Melville e non mancano aneddoti divertenti e poco conosciuti come la rivalità tra Twain e James, chiamato “Enrichetta” dal perfido Twain.
I racconti fondamentali della letteratura americana citati nel saggio sono tutti contenuti in “Storie di solitari americani”.
Dagli inizi del novecento l’analisi perde di efficacia, soprattutto sui grandi e sulle opere più o meno importanti, ordinate secondo preferenze del tutto personali.
Discutibili le opinioni su Hemingway, che detesto, e anche quelle su Faulkner, che amo, di cui L’urlo e il furore e Luce d’agosto vengono considerati tra le cose più alte di tutto il ‘900 (io includerei anche Mentre Morivo).
Di Faulkner viene evidenziato l’aspetto più snob, riportando una gustosissima lettera all’editore Cowley, e l’aspetto retrogrado, sostenendo che trattava malissimo neri e donne nei suoi libri, affermazione contestabile in quanto era la società a farlo.
Molto schematica e discutibile è anche la differenza tra scrittori ebrei che si rivolgevano ad un pubblico indifferenziato (N. West e D. Parker) e quelli che invece si rivolgevano ad un pubblico specifico fino a quando il romanzo americano finisce per “ebraizzarsi” con Bellow, Malamud, Roth.
Molto accurato sulla poesia, per la quale vengono citati quasi tutti i premi Pulitzer e analizzati poeti anche minori, il saggio è dettagliato anche sul teatro e i suoi autori, tra cui spiccano Thornton Wilder e Edna Ferber, non menzionati però come romanzieri e vincitori di Pulitzer (ben tre Pulitzer e un National book award per Wilder e un Pulitzer per la Ferber).
Se la letteratura delle minoranze, soprattutto quelle asiatico-americana e indiana, è spiegata con dovizia di particolari, sono completamente dimenticati molti autori di racconti e short novel come Dubus o la Stafford ( quest’ultima vincitrice di un Pulitzer e prima moglie del poeta Lowell, ampiamente ricordato nel saggio).
Infine, e questo trovo sia il limite più grosso del lavoro, nel saggio sono citati distrattamente anche scrittori grandi o di libri leggendari come James Agee e Mary McCarthy.