Un libro che è una sorta di esperimento scientifico: si può sopravvivere da soli dopo che la vita (umana) sembra essere stata spazzata via dalla faccia della terra? Una donna sola può cavarsela con le incombenze che la vita (della natura) continua imperterrita a sottoporre a chi è sopravvissuto? Un'anima persa può ritrovarsi nella sua completa solitudine, scoprendo affetti selvaggi e primordiali, che proprio per la loro purezza le consentono di non essere sopraffatta dal vuoto d'amore? La risposta è sì. Una donna che è rimasta incomprensibilmente sola in un bellissimo quanto ostile contesto alpino, è potuta sopravvivere: ai cambiamenti climatici, alla fame, alla solitudine, alla cura di animali che hanno rappresentato la sua salvezza, sia in termini pratici che in termini spirituali, al vuoto di lunghissime giornate da riempire senza avere nessuno svago a disposizione. Ma forse avrebbe preferito il contrario. Morire. Magari avrebbe preferito che la discesa di quella misteriosa parete di vetro che l'ha separata dalla sua vita precedente le avesse portato via anche l'aria. Ma il destino ha deciso per lei una sorte diversa. Sopravvivere senza vivere, e abituarsi a farlo. Anche chi legge, dopo aver superato la difficoltà di capire cosa sia accaduto in quelle montagne da una sera alla mattina successiva, nei primi passi del libro crede di non poter sopravvivere a una lettura che non può avere colpi di scena: questo sembra chiaro fin dall'inizio. Una sorta di Deserto dei tartari rivisitato al femminile e in chiave civile. Si aspetta, cosa non si sa, ma si aspetta che qualcosa cambi. E arrivi all'ultima pagina convinto che non ce l'avresti fatta. Fortemente sconsigliato in epoche pandemiche, ma decisamente ardito e fuori da ogni schema. Per i più audaci, anche un po' animalisti.