“Le cose possono essere diverse da come uno le crede, o da come se le ricorda. Tutto qui.”
Ecco credo che questa frase possa racchiudere in sé il senso di questo romanzo di Veronesi, nel quale Gianni, il protagonista, nello scoprire chi è veramente suo padre, viene investito dalla forza di un passato a lui sconosciuto, che travolge totalmente anche l’apparente serenità del suo presente.
Grazie o per colpa di questa scoperta, tutto inizia a muoversi ed a traballare fuori e dentro di lui, ad un ritmo vertiginoso, che lo porta ad una profonda e spietata introspezione di se stesso, dei suoi lati più beceri, delle sue debolezze ma anche di quelle delle persone che lo circondano e che lui più ama, come la moglie. Ed in questa sorta di autoanalisi, non cercata ma forzatamente vissuta, Gianni cresce e diventa un uomo con tutto il carico di emozioni e consapevolezze che questo comporta.
Splendida ed esilarante la parte in cui Veronesi descrive i pensieri di Gianni così come si susseguono, senza una logica né un ordine preciso. Una sorta di flusso di coscienza alla Joyce nell’Ulisse, senza la sua pesantezza e con arguta ironia a partire dal linguaggio, diretto e senza inutili fronzoli.
Romanzo apparentemente leggero, che nasconde un profondo senso di amarezza, di precarietà e di inquietudine. Talvolta ti fa ridere di gusto altre ti fa sorridere di un sorriso amaro. Fa riflettere sul senso, tutto sbagliato, del “dare per scontato” situazioni, fatti e, soprattutto, persone, in particolare quelle più vicine, cosa che porta a non viverle e guardarle per quello che sono ma elusivamente per quello noi vorremmo che fossero.
E’ un romanzo che ti rimane dentro. Nel bene e nel male. E lo fa senza strepiti ma con una sorta di rassegnata ed ironica accettazione della realtà. E’ un romanzo che fa pensare e dubitare soprattutto. Che ci insegna che non si dovrebbe mai smettere di guardare e conoscere l’altro ed anche se stessi per ciò che è o si è.
Bello ed amaro. Come lo è talvolta la vita.