Quando ho iniziato a leggere questo libro, sapevo a cosa andavo incontro. Sapevo che avrei letto di un fatto di cronaca, di una vicenda dolorosa ed infinita.
E' infinito difatti in dolore che può provare una madre, Irina Lucidi, nel vivere da anni la scomparsa delle sue gemmelline di sei anni, rapite dal suo ex marito che dalla Svizzera finirà in una stazione di Cerignola e si suiciderà sotto un treno.
Lui muore e lascia un messaggio alla moglie "le ho uccise, non hanno sofferto, non le rivedrai mai più".
Sono passati dieci anni dalla loro scomparsa e questa donna continua a vivere con il dolore, il tormento, il dubbio.
"Sono una madre, lo sarò sempre. Senza figli ma madre. Non servono figli per essere madri."
Ma "Mi sa che fuori è primavera" è anche il racconto di questa donna che piegata dal dolore, sopravvive ed in parte rinasce anche attraverso un nuovo amore, così diverso da quel marito ingegnere che disseminava la casa di post it rivolti a lei con istruzioni maniacali e che già mostravano segnali spaventosi.
Il racconto che ne fa Concita De Gregorio si snoda su più piani e fanno riflettere tanto le lettere che Irina invia alla polizia svizzera e ci mostrano il ritratto di una donna moderna, che seppur indipendente ed intelligente, deve scontrarsi con i soliti luoghi comuni, le antiche discriminazioni.
E poi ci sono questi passaggi in cui descrive le figlie:
" Livia restava sempre intera, integra. Con una rigidità verticale, interna, non saprei come dire. Era sempre lei. Alessia invece te la spalmavi addosso, diventava un calco del mio corpo. Diventava me."
O questo in cui la speranza rimane sempre viva, ma anche tangibile e prende la forma di quella stanza in più:
"...non potrei vivere senza sapere che nella mia casa c'è un posto per loro. Il posto che le aspetta, se dovessero bussare e chiedere: il nostro letto, mamma, in questa casa dov'è."
Mi ha emozionata, ho apprezzato lo stile e la mancanza di morbosità. Molti scrittori si sarebbero lanciati in una morbosità sfrenata ma Concita condensa l'indicibile dolore di Irina con passaggi come questo:
"Alla fine di quello stesso anno sono partita. Dieci mesi dopo. Dieci mesi di droghe: sonniferi calmanti antidepressivi sedativi. Un tempo senza giorno e senza notte, tempo di ovatta”.