Questo libro racconta una vita che potrebbe sembrare tutto sommato ordinaria. Per molti versi lo è senz’altro. La scelta di seguire studi che porteranno lontano dalle proprie origini, quella di costruire una famiglia con la persona di cui per prima ci si invaghisce, e poi quella di seguire una carriera lavorativa solida ma allo stesso tempo priva di particolari ambizioni sono tutte scelte abbastanza comuni e familiari. Ma l’autore riesce a rendere il racconto straordinariamente appassionante.
Così osserviamo Stoner, il protagonista di questo romanzo, fluttuare tra le diverse fasi della sua vita. Subisce la vita senza pensare che possa esserne lui stesso l’artefice. E a un certo punto vive un amore, un amore pieno e appagante. Che poi finisce, dal momento che mal si allinea ai costrutti sociali che lo circondano. Osserviamo Stoner dal momento in cui si stacca dalle origini fino al momento in cui muore. E muore mentre cerca di trovare un pezzo di sé stesso nell’unico libro che è riuscito a scrivere e a pubblicare. In punto di morte, cerca una testimonianza di sé, per capire chi è che è stato, in tutti quegli anni. Accetta l’idea che nulla di lui gli sopravviverà, neanche quel libro.
Il modo in cui Williams scrive coniuga asciuttezza della lingua con un incedere appassionante del racconto, due elementi solo in apparenza contrastanti. Eventi emozionanti (la morte del collega e amico Dave, la consapevolezza di un innamoramento, l’inizio della carriera da insegnante) vengono narrati con poche parole fulminee ed esplicite, mentre si indugia di più sulla descrizione di un ambiente, per esempio. Questo crea un certo straniamento nel lettore.
E mentre molti eventi emozionanti vengono narrati con approccio descrittivo e in maniera oggettiva, la morte di Stoner sarà invece narrata in maniera implicita, attraverso il movimento della mano che si lascia cadere mentre tiene il suo libro.
Un romanzo bellissimo, da leggere tutto d’un fiato.