Ne scrivo con pudore perché è un libro che richiede silenzio e rispetto. Anche se Cappello, pur dietro un tratto di sicura friulanità, non ha pudori nel mettersi a nudo. È un libro emozionante e vero. Forse "vero" è proprio l'aggettivo che lo definisce meglio. Non c'è ombra di retorica, c'è uno sguardo pulito, attento, meticoloso. Sono 5 racconti autobiografici, che toccano momenti drammatici come il terremoto del Friuli del 1976 e l'incidente che ha lasciato l'autore paralizzato. Cappello ne parla in un modo che ho trovato straordinario perché riesce a mostrare le facce nascoste di questi avvenimenti drammatici. Il racconto in cui parla della casa sulla collina, del suo lento costruirsi e del suo veloce rovinarsi, racconta per metafora il dissolversi di un mondo che anch'io, negli stessi anni, ho visto trasformarsi con velocità. Allora pensavo che la velocità fosse da attribuirsi al ritmo rapido della vita a quell'età, ma ripensandoci ora, anche alla luce di questa lettura, mi accorgo che sono stato testimone di un passaggio epocale. Cappello arrampicato sull'ippocastano a leggere Moby Dick in lunghi pomeriggi estivi, mentre intorno si ricostruisce il paese e si costruisce l'autostrada, mi è sembrata un'immagine folgorante. È un libro intenso nei contenuti, ma altrettanto intenso nella scrittura. Dietro ogni parola si percepisce l'attenzione nella scelta, la cura nell'effetto sonoro, il rispetto per i silenzi impliciti.