L'autore del saggio è un fisico delle particelle innamoratosi della linguistica, disciplina incontrata per caso e curiosità, che ha deciso di dedicare i suoi studi alla questione dell'origine del linguaggio.
La questione, presente e centrale nelle riflessioni linguistiche prescientifiche fin dall'antichità, per circa un secolo, dal costituirsi della linguistica scientifica nell'Ottocento, è diventata un tabù: non c'è nulla di osservabile, non può essere ricostruita né localizzata nello spazio e nel tempo una protolingua originaria,dunque non ha senso parlarne, se non come riflessione da tempo libero, un po' romantica. Ed è vero: la conoscenza dell'origine del linguaggio non è accessibile con i soli strumenti linguistici.
Gli studi nel campo della biologia evolutiva, del comportamento animale, della neuropsicologia, dell'antropologia, dell'etnolinguisica, dell'archeologia preistorica e le varie teorie sull'acquisizione del linguaggio nei bambini e sui disturbi e le deviazioni ad essa legati, hanno rilanciato l'argomento sul livello scientifico e Johansson cerca di farne un sunto. Semplifica ma non banalizza.
Il discorso è necessariamente interdisciplinare e il viaggio è lungo e ambizioso, dunque l'autore seleziona accuratamente gli strumenti da portare con sé, sottoforma di concetti, teorie e riferimenti bibliografici, per non viaggiare troppo appesantiti e mantenere un taglio divulgativo (per chi volesse, fornisce in nota il link per leggere la versione accademica del saggio, con il suo bel migliaio di riferimenti bibliografici).
La trattazione è spesso intervallata o introdotta da "scene" relative al mondo animale, umano, al comportamento dei bambini (le figlie dell'autore) che permettono di visualizzare i temi trattati nei vari capitoli.
L'origine del linguaggio, in chiave evolutiva, poggia le sue fondamenta su alcuni tratti non specificatamente linguistici, condivisi con le scimmie antropomorfe e con altre specie animali: la differenza che porta alla lingua è quantitativa, non qualitativa e il suo sviluppo è "una questione di incentivi più che di mutazioni". Con buona pace del generativismo di Chomsky.
Nell'essere umano, infatti, queste caratteristiche occorrono assieme e interagiscono tra loro, costituendo un vantaggio evolutivo, mentre in diverse specie animali ne sono presenti solo alcune e vengono usate per fini strettamente strumentali. Cooperazione, menzogna, rappresentazione simbolica, viaggi mentali nel tempo e nello spazio, apprendimento sociale, comunicazione segnica e pantomima interagiscono tra loro e creano le condizioni per la formazione graduale di un sistema lingua sempre più complesso. Il tutto mosso dall'intenzione di comunicare, dal gusto per la narrazione e - perché no? - anche per la manipolazione, che a un certo punto ci hanno distinti dai nostri taciturni cugini.
I fili del saggio sono tanti, tante le discipline coinvolte, le informazioni, gli aneddoti: il tessuto è ricco e si rischia di perdersi un po', ma alla fine l'autore riprende tutti i fili per esporre sinteticamente e schiettamente la sua posizione sulla questione, rispondendo alle domande salienti:
La lingua è nata per mutazione o per motivazione? Presto o tardi? Improvvisamente o gradualmente? Era atomistica o olistica? Comunicativa, musicale o mentale? Parlata, segnica, mimica o un sistema misto? La facoltà di linguaggio è innata o no?
Le risposte dell'autore, alla luce del viaggio compiuto, sono convincenti.