La prima sensazione che ho provato leggendo questo libro è stata di déjà vu e insofferenza. Ho pensato che fosse veramente troppo simile a "Le braci", che ho molto amato ma non per questo volevo rileggere in altra forma: ho provato molto fastidio, come se fossi stata un po' truffata da questo scrittore che mi era tanto piaciuto ma che si stava dimostrando assai ripetitivo. Come se non bastasse, le prime 100 pagine - ovvero la metà esatta del libro - sono dedicate alla descrizione assai prolissa della società ungherese e sono invero un po' noiosine. Confesso dunque che la lettura è stata lenta e sofferta e questo mi è dispiaciuto molto, considerando che "Le braci" lo avevo divorato in meno di due giorni. Però. C'è qualcosa in Marai che ti tiene avvinto e ti spinge a proseguire la lettura anche mentre stai pensando che il libro sia lento, ripetitivo, noioso. Ti ritrovi a leggere 100 pagine di monologo che con qualsiasi altro autore avresti mollato subito dopodichè, alla fine di tutto, pensi che insomma, non era poi tanto male questo libro, chissà perché mentre lo leggevi non ti piaceva. Se poi lo lasci decantare qualche giorno dopo averlo finito, senti venire a galla tutti i significati che mentre leggevi erano sfuggiti, sommersi dalla ricerca tenace di una trama che non c'è. Perché è questo il punto: questi libri che si svolgono nel giro di una notte non hanno una vera e propria trama, anzi da questo punto di vista si potrebbe dire che Divorzio a Buda e Le braci sono proprio uguali: due triangoli amorosi, due uomini molto coinvolti che vanno fuori di testa per questo, altri due meno coinvolti che fungono da semplici ascoltatori dei primi, infine due donne angelicate sullo sfondo. La storia di base è la stessa: una donna che sposa un uomo e lo tradisce, fisicamente o mentalmente, con un altro. Mentre ne "Le braci" il tradimento fa da collante fra le tre persone e porta i due uomini a ridefinire i contorni della loro amicizia, nel Divorzio causa, oltre ad un uxoricidio, una crisi esistenziale nel cornuto. C'è molta (come al solito per i miei gusti troppa) filosofia nel monologo, ma il succo del discorso è: è possibile fondare il senso della propria vita sul rapporto con un'altra persona? Studiare, lavorare, spendere, viaggiare, rilassarsi, prodigarsi tutto per lei? Si, è possibile. E' salutare per il rapporto? No. Cosa succede poi se la persona a cui abbiamo dato tutto ci pianta in asso? Vale la pena continuare a vivere? AL di là della trama semplicissima, dunque, Marai ci presenta una serie di interrogativi sull'esistenza e sul modo di impostare la propria vita, sulla scala dei valori, sul senso della vita e dell'amore, che secondo me valgono tutto il libro e riscattano la parte iniziale più noiosa. Comunque è certo che Battisti avesse letto Marai quando ha scritto Anna, che è il riassunto perfetto di Divorzio a Buda: Hai ragione anche tu Cosa voglio di più? Un lavoro io l'ho Una casa io l'ho La mattina c'è chi Mi prepara il caffè Questo io lo so E la sera c'è chi Non sa dirmi no Cosa voglio di più? Hai ragione tu Cosa voglio di più? Cosa voglio? Anna Voglio Anna Non hai mai visto un uomo piangere Apri bene gli occhi, sai, perché tu ora lo vedrai Apri bene gli occhi, sai, perché tu ora lo vedrai Se tu non hai mai visto un uomo piangere Guardami Guardami Anna Voglio Anna Ho dormito lì Fra i capelli suoi Io insieme a lei Ero un uomo Quanti e quanti sì Ha gridato lei Quanti non lo sai Ero un uomo Cosa sono ora io? Cosa sono, mio Dio? Resta poco di me Io che parlo con te Io che parlo con te di Anna Anna Voglio Anna