«Destino o no, rompe le scatole invecchiare, veder cambiare le case, i numeri, i tram e i cappelli della gente, intorno alla propria esistenza. Abito corto o berretto con lo spacco, pane di pasta dura, battello a ruote, tutto per l’aviazione, è sempre la stessa solfa. È uno sciupo di simpatie. Io non voglio cambiar più. Ne avrei di cose da piangermi addosso, ma son loro sposo, sono una piaga, e del resto m’adoro quant’è marcia la Senna. Chi cambierà il lampione agganciato all’angolo del numero 12 mi darà un grosso dispiacere. Siam provvisori, questo è vero, ma io ho già provvisorieggiato abbastanza per la mia dignità».
«Mia madre andava a presentar la collezione, nell’ora di pranzo, a dei rivenditori nelle gallerie… Ha fatto di tutto, lei, per farmi campare, è il nascere che non ci voleva.
Dalla Nonna, in Rue Montorgueil, dopo il crollo, sputava a volte sangue, al mattino, preparando la vetrina. Nascondeva i suoi fazzoletti. La Nonna sopraggiungeva. “Clémence, asciugati gli occhi!… Piangere non serve a nulla!…” Per arrivare il più presto possibile, ci alzavamo col sole, attraversavamo le Tuileries, le faccende già sbrigate, lasciando il babbo a rivoltare i materassi.
Durante la giornata non c’era da stare allegri. Mi capitava di rado di non piangere per buona parte del pomeriggio. Ricevevo più ceffoni che sorrisi, in bottega. Chiedevo perdono a proposito e a sproposito, ho sempre chiesto perdono di tutto».
Louis-Ferdinand Céline, Morte a credito, Garzanti, trad. Giorgio Caproni
Esce nel ’36 ed è l’antefatto di Viaggio al termine della notte. Anni fa Bruno mi ha regalato questa vecchia edizione (la prima, in italiano) del ’64, uscita per Garzanti, con una traduzione descritta come un’impresa (un’impresa di due anni) e zeppa di bianchi tipografici che indicano le diverse censure dell’allora edizione più diffusa del libro. È un libro magnifico, denso. Sulla miseria, sulla provvisorietà, sulla fatica.