Un indicatore efficace per capire se una cosa mi piace veramente è la comparsa di tendenze collezionistiche. Io non ho mai fatto collezione di niente in vita mia, non ne ho mai capito il senso e comunque sono troppo pigro. Quando mi capita di accumulare oggetti tra loro correlati, la cosa è seria.
C'era una volta in America è uno dei miei film preferiti di tutti i tempi.
Ho una VHS registrata da Rete4, l'edizione DVD doppio disco, la prima uscita Bluray, l'edizione integrale con le scene eliminate da Leone all'ultimo montaggio.
Ho visto il film una dozzina di volte, senza contare spezzoni, scene su Youtube etc. Una volta sono riuscito a vederlo al cinema, in occasione dell'uscita dell'edizione restaurata (sempre sia lodato L'immagine ritrovata, il prestigioso laboratorio bolognese di restauro cinematografico).
Mi ero sempre chiesto come potesse essere il romanzo-autobiografia da cui Leone trasse ispirazione per il film. Così me lo sono procurato e l'ho letto. Onestamente, non è granchè.
La maggiore curiosità è proprio l'autore, Herschel "Harry" Goldberg, ebreo ucraino immigrato in America con la famiglia, finito a vivere nello slum italo-ebraico del Lower East Side (secondo alcuni studi, la zona più densamente popolata del mondo negli anni 20).
Apparentemente, Goldberg fu un criminale di medio calibro ai tempi del Proibizionismo, non diventò mai veramente qualcuno, passò un po' di tempo a Sing Sing, dove abbozzò la stesura del libro. Infine, scomparve dalla circolazione per ricomparire solo dopo aver assunto il nome di Harry Grey.
I dettagli su Grey sono piuttosto incerti, ma la sua figura impressionò moltissimo Sergio Leone, che lo conobbe e frequentò per un certo periodo di tempo, durante la preproduzione del film.
Era un vero gangster (o, almeno, così pareva) e allo stesso tempo un uomo anziano, dimesso, di pochissime parole, molto diffidente e schivo. State pensando alla comparsa-reincarnazione di Noodles alla Grand Central Station a fine anni Sessanta, sulle note di Yesterday? E' quello che ho pensato anch'io.
Il libro racconta una storia molto simile a quella ambientata negli anni venti e trenta del film, l'infanzia dei protagonisti nelle loro misere case di immigrati, i giorni nella soup school (così si chiamavano le scuole dei quartieri poveri, perchè consentivano ai bambini di consumare un pasto caldo a mezzogiorno, di norma una zuppa), l'apprendistato criminale, i primi "successi".
Il tutto in una lingua molto diretta, direi pedantemente descrittiva, senza ellissi (quando un personaggio scende da un'auto, l'azione è illustrata in ogni gesto, si apre la maniglia, prima un piede, poi l'altro, si chiude lo sportello, etc.), nulla è lasciato all'immaginazione del lettore.
Le storie contengono molti luoghi comuni che fanno dubitare del tasso di autenticità biografica del racconto (C. Frayling, nel suo splendido libro su Sergio Leone, richiama tutta una serie di citazioni cinematografiche contenute nel romanzo, da Piccolo Cesare a La belva umana a Gli angeli con la faccia sporca).
C'è ben poca traccia della malinconia che dà il tono al film, il senso del tempo e delle occasioni perdute, rimpianti, desideri non realizzati, speranze e amicizie tradite.
I goodfellas del romanzo se la spassano alla grande, anche quando pestano a sangue un rivale di strada o ammazzano qualcuno per contratto. Alcool a fiumi, partite a carte, donnine, vestiti di lusso. L'ingresso della banda nella "Combination", il cartello criminale diretto da Frank Costello (che J.P. Melville "omaggiò" in Le Samourai battezzando così il protagonista) non viene vissuto come la perdita dell'indipendenza (come avviene per Noodles nel film), ma come una grande occasione di business. Più contratti, più soldi, più potere.
Insomma, il Noodles del film è sostanzialmente un prodotto degli sceneggiatori, un bandito senza grandi orizzonti, destinato alla galera o a un "kimono di cemento" e una tomba nell'Hudson. Senza aloni di gloria, senza la paccottiglia romantica made in Puzo del Padrino (che fu offerto a Leone, il quale declinò). La middle class della mala, un mondo che Leone ritrae con uno spietato realismo circonfuso di un alone nostalgico e sommessamente epico, che è tutto cinematografico, tutto nelle immagini e nelle ricostruzioni maniacali, omaggio al cinema noir degli anni trenta e quaranta, non banalmente citato ma rivissuto negli occhi di quel fenomenale videoregistratore umano che era il regista romano.
Il libro finisce con la sparizione di Noodles\Goldberg, nel 1933. E' una sorta di lieto fine, tutto sommato.
Tutto il resto che vediamo nel film è frutto dell'inventiva di Leone e, pare, dei racconti che ascoltò da Grey durante i loro incontri newyorkesi.
Il lieto fine nel film non c'è. Che Max muoia o meno, il cuore del film sta nella scena in cui Noodles scopre che Bailey è Max, che si è salvato, ha preso la sua donna e ci ha fatto un figlio, che gli ha fatto credere di essere morto per colpa sua. Tutto quel poco in cui Noodles credeva è stato distrutto e alla fine anche il ricordo della sua amicizia con Max.
Noodles non spara perchè, ai vecchi tempi, "un contratto come questo non lo avremmo accettato".
Noodles esce da una porta secondaria, nota bene Frayling che per tutta la vita non ha fatto altro che passare da porte secondarie.
La macchina con i ragazzi che festeggiano: chi sono? Sono un'immagine di Noodles e gli altri da giovani? Sono un carro di carnevale, l'allegoria di una festa ormai finita, per i due vecchi, ma anche forse per un intero paese?
Quale America deve essere benedetta, quella misera dell'infanzia dei protagonisti, che offriva un sogno di riscatto, anche se attraverso il crimine, o quella ricca del Sen. Bailey, che compra e vende tutto e dove i criminali - per citare Scerbanenco - delinquono con l'ufficio legale al seguito?
Il camion trita i resti della vita di Noodles, i ricordi e i rimorsi nel nome dei quali aveva vissuto per tutti quegli anni in cui era andato a letto presto, i resti di Max che, quale che sia il suo destino, è morto per Noodles quando si è trasformato in Bailey, i resti dell'America "di frontiera" dell'era del Proibizionismo, ultimo distorto residuo dell'età dei pionieri che Leone amava tanto.
[Per chi volesse leggere qualcosa sul film, segnalo il ricchissimo, come sempre, articolo di Cinephilia&Beyond, con molti link ad altri documenti e video]
cinephiliabeyond.org/once-upon-a-time-in-america-a-butchered-film-rising-up-as-a-phoenix