Very moving book, especially the second half in Paris. I love the ending, which is tragic and satisfying at the same time.
My only complaint is the lack of depth of the characters - rather one-dimensional I think...
Ho incominciato la lettura di questo libro per via del famosissimo incipit:
It was the best of times, it was the worst of times, it was the age of wisdom, it was the age of foolishness, it was the epoch of belief, it was the epoch of incredulity, it was the season of Light, it was the season of Darkness, it was the spring of hope, it was the winter of despair, we had everything before us, we had nothing before us, we were all going direct to Heaven, we were all going direct the other way—in short, the period was so far like the present period, that some of its noisiest authorities insisted on its being received, for good or for evil, in the superlative degree of comparison only.
There were a king with a large jaw and a queen with a plain face, on the throne of England; there were a king with a large jaw and a queen with a fair face, on the throne of France. In both countries it was clearer than crystal to the lords of the State preserves of loaves and fishes, that things in general were settled for ever.
Di solito Dickens mi "prende" subito, ma questa volta il libro ci ha messo un po' per coinvolgermi, forse perchè la narrazione era a tratti difficile e confusa.
Comunque dopo un po' si viene letteralmente risucchiati nella storia: Bella la delineazione dei personaggi: il dottor Manette, in preda a momenti di allucinazione, la delicatezza del suo amico che gliene parla come si trattasse del caso di un'altra persona; la devozione della domestica abbarbiccata alla sua lingua madre, l'inglese e alla figura ambigua del fratello, l'amore puro e semplice di Lucia e Evremonde, il sacrificio dell'amico Carton(perdutamente innamorato di Lucia) che consente ai due di salvarsi...inquitanti i personaggi "negativi" in particolare Madame Deforge, una dei capi dei rivoluzionari durante il periodo del terrore, con il suo continuo sferruzzare a maglia.
ma come in tutte le opere di Dickens, il lieto fine è dietro l'angolo, i buoni vengono ricompensati e i cattivi puniti.
"Sì, cosa migliore non avrei mai potuto fare ; più perfetta quiete non avrei mai conosciuto"
L'estate, per me, è tempo di "classici", e quest'anno è toccato a Charles Dickens e al suo Una storia tra due città. Il mio rapporto con questo autore è molto particolare: ho amato alla follia alcune sue opere (Grandi Speranze, La piccola Dorrit, Martin Chuzzlewit, Il nostro comune amico) mentre altre mi hanno lasciato piuttosto freddino (Oliver Twist, La bottega dell'antiquario, Il circolo Pickwick). Però nel complesso è un autore che leggo sempre volentieri, quindi mi sono approcciato a questo libro con tutte le buone intenzioni.
Nel complesso mi è piaciuto, ma diciamo che si colloca in una specie di limbo fra i due gruppi di cui sopra. La forma -piuttosto ingombrante per i tempi- del "romanzo storico" soffoca un po' il grande estro narrativo dell'autore: i personaggi del libro non sono molto approfonditi, e restano quasi in secondo piano, come dei semplici orpelli alla storia (anzi, la grande storia) della rivoluzione francese. E questa cosa mi ha un po' sorpreso, perché di solito nei suoi libri accade l'esatto contrario, dove la storia è totalmente alla mercé di personaggi molto ben definiti e caratteristici (per non dire bizzarri).
Gli unici personaggi, se vogliamo, indimenticabili sono l'avvocato sulla via della perdizione Sydney Carton e la sanguinaria Madame DeFarge. Personaggi incredibilmente melodrammatici (si sente molto la mancanza del consueto umorismo dell'autore) ma che restano vivi nella memoria e rubano la scena nelle poche pagine in cui compaiono.
In conclusione, Dickens stavolta si limita a fare da regista, ed a mostrare/narrare con grandissima efficacia la nascita ed il germogliare del malcontento delle masse, fino all'esplosione del vero e proprio terrore. L'incipit del romanzo è straordinario, e l'autore è ancor più abile del solito nel ricreare l'ambiente, ma ahimè, soccombe e diventa sbiadito quando si dedica al singolo personaggio. Peccato, perché secondo me, nella forma concentrata (quest'opera veniva pubblicata settimanalmente in capitoli più corti del solito) Dickens è ancora più incisivo (vedi Grandi Speranze).
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Romanzo focalizzato più sull'ambientazione che sui personaggi un po' troppo "sottili" rispetto a quelli presenti in David Copperfield o Martin Chuzzlewit. Non mi ha appassionato.