Se mi è permesso essere sincero (non mi piace scrivere recensioni negative, ma in questo caso proprio non posso non farlo), questo libro non mi è per niente piaciuto... è evidente che chi gli ha dato cinque stelle o ha fatto finta di leggerlo o l'ha letto ma senza capire quello che stava leggendo.
Io personalmente gliene do una (anche se sarebbe da zero, ma non si può mettere), ma se ci fosse qualcuno che gli dà due o tre stelle sarei anche disposto a discutere dei contenuti con questa persona.
Le motivazioni del mio giudizio? Sono tante. Innanzitutto la lunghezza della storia: troppo prolissa (690 pagine sono veramente troppe e il ritmo è davvero troppo lento. Quanto si sarebbe potuto scrivere in mezza pagina è stato tirato per le lunghe e il lettore dopo un po' si stanca... e dire che io sono abituato a leggere dei "mattoni" come i romanzi russi, ma questo li batte veramente tutti in termini di noia e di lentezza dello svolgersi degli eventi!).
Altra motivazione: lo stile. Si vede che l'autrice tenta di utilizzare uno stile ricercato, ma trovo che in alcuni punti sia troppo ricercato (descrizioni troppo dettagliate che di conseguenza appesantiscono la storia), in altri invece sia un po' tirato via (mi riferisco, ad esempio, ai dialoghi dei personaggi, che a volte appaiono snaturati, non ben circostanziati). Quindi sarebbe stato necessario trovare il giusto equilibrio tra le due cose.
Altro motivo: il genere letterario. Il fantasy non mi è mai piaciuto come genere (forse sono un Matusalemme che va contro corrente visto che va tanto di moda, ma è stata mia figlia, adolescente dalla prorompente vitalità, di quattordici anni, a regalarmelo alcuni mesi fa, per il mio cinquantesimo compleanno [gran bel compleanno, davvero!] e io, padre che cerca di dare il buon esempio ai suoi figli, ho deciso di cimentarmi ugualmente nella lettura per non deluderla e non ferirla). Trovo che il fantasy rappresenti il decadentismo del Novecento (non a caso, Tolkien fu uno dei suoi primissimi artefici ed egli fu non a caso uomo di fine Ottocento che visse la maggior parte della sua esistenza nel Novecento). Non credo esista un genere tanto più distante dal nostro modo di pensare e di vedere le cose (come esseri umani). Come può un uomo o una donna immedesimarsi in una storia che ha per protagonisti delle creature immaginarie (come gli hobbit, nel caso di Tolkien, tanto per citare una "razza") che vivono in un mondo surreale e compiono azioni così diverse da quelle umane?
Non sono così superficiale o stupido da non aver capito che le battaglie descritte dalla Di Bartolo non possano, in qualche modo, rispecchiare anche le nostre guerre e gli orrori che il genere umano ha sempre vissuto sulla propria pelle. Sto dicendo, però, che la trasformazione dell'ambientazione reale in un mondo mai esistito e la trasformazione degli uomini o la proiezione degli stessi in personaggi inventati che ricalcano creature fantastico-mitologiche perde di gran lunga l'efficacia nel trasmettere il messaggio e/o la morale della storia e pertanto non ci può essere immedesimazione da parte del lettore.
Last but not least (per dirlo all'inglese), io credevo che questo libro fosse di ingegno dell'autrice. O per lo meno, è evidente che abbia copiato da Tolkien, ma pensavo che comunque ci fosse stata una sua rielaborazione... almeno questo era quello che credevo prima di cimentarmi nella lettura, quando avevo letto soltanto la sinossi e la prefazione dell'editore... ma poi mi sono dovuto ricredere e cercando su Internet sono rimasto male nel vedere che la stessa autrice afferma che dopo aver letto la trilogia de "Il signore degli anelli", ha detto a se stessa: "Perché non posso provare anch'io a scrivere un fantasy come questo?". Da ciò, si capisce qual è il suo intento: voler dimostrare di poter fare meglio di lui. Almeno questa è stata la mia impressione.